Il contributo esamina l’ordinanza della Cassazione n. 16363 del 2015, che interviene sulla questione dell’individuazione dei criteri di quantificazione del risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative ex art. 36, c. 5, del d.lgs. n. 165/2001, onde assicurarne la conformità ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione di contratti a termine nel settore pubblico, secondo l’interpretazione che la Corte di giustizia dell’UE ha dato della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva n. 1999/70. I giudici di legittimità, su ricorso di una Azienda Ospedaliera, vengono interrogati sulla legittimità del criterio prescelto dal giudice di merito per la liquidazione del danno suddetto: la Cassazione è chiamata a decidere se esso debba essere individuato nelle 20 mensilità (15+5) argomentando ex art. 18 della legge n. 300/1970, come ritenuto dal giudice di merito nella sentenza impugnata, o in altro, diverso, parametro. L’ordinanza esaminata si segnala per la decisione di rimettere gli atti alle Sezioni Unite Civili al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale in atto sulla quantificazione della sanzione risarcitoria in discorso. L’Autore, dapprima, ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali formatisi - nella giurisprudenza della Cassazione e di merito - in materia di sanzioni contro l’abuso nell’utilizzo dei contratti a termine nella pubblica amministrazione, verificando che - esclusa, salvo rare eccezioni, la sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro pubblico a termine in rapporto a tempo indeterminato – si giustappongono almeno tre indirizzi relativamente alla quantificazione del danno da risarcire: l’uno ritiene di poter liquidare il danno secondo il parametro offerto dall’art. 18 della legge n. 300/1970; l’altro ritiene di poter applicare in via analogica il sistema indennitario omnicomprensivo di cui all’art. 32, c. 5, della legge n. 183/2010; il terzo afferma che la nozione di danno applicabile debba essere quella di “danno comunitario”, ritenendo che esso possa essere quantificato secondo i criteri previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966. L’Autore condivide la conclusione di una parte della giurisprudenza che si fonda sulla figura del danno-sanzione “comunitario”, perché la non aleatorietà del risarcimento e, quindi, della sanzione, rendono quest’ultima effettiva: essa, dunque, risponde ad uno dei tre connotati che il risarcimento deve cumulare - secondo la Corte di giustizia dell’UE - in questa materia (il principio di effettività). L’Autore ritiene, tuttavia, che la tutela patrimoniale parametrata “tendenzialmente” sull’art. 8 della legge n. 604/1966 (per cui l’indennità deve essere di importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) non rispetti anche gli altri due connotati della nozione del danno a livello comunitario (principio di equivalenza ed effetto dissuasivo); essa, in particolare, non è in grado di determinare una tutela per equivalente della mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro, riconoscendo ai precari, in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia in materia di risarcimento effettivo, una misura equivalente a quella riconosciuta a lavoratori che si trovano in situazioni analoghe nel settore privato.
Contratto a tempo determinato nel pubblico impiego e danno da violazione del diritto dell’Unione europea: parola alle Sezioni Unite / Allamprese, Andrea. - In: IL LAVORO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI. - ISSN 1591-7681. - STAMPA. - XVIII:2(2015), pp. 317-336.
Contratto a tempo determinato nel pubblico impiego e danno da violazione del diritto dell’Unione europea: parola alle Sezioni Unite
ALLAMPRESE, Andrea
2015
Abstract
Il contributo esamina l’ordinanza della Cassazione n. 16363 del 2015, che interviene sulla questione dell’individuazione dei criteri di quantificazione del risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative ex art. 36, c. 5, del d.lgs. n. 165/2001, onde assicurarne la conformità ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione di contratti a termine nel settore pubblico, secondo l’interpretazione che la Corte di giustizia dell’UE ha dato della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva n. 1999/70. I giudici di legittimità, su ricorso di una Azienda Ospedaliera, vengono interrogati sulla legittimità del criterio prescelto dal giudice di merito per la liquidazione del danno suddetto: la Cassazione è chiamata a decidere se esso debba essere individuato nelle 20 mensilità (15+5) argomentando ex art. 18 della legge n. 300/1970, come ritenuto dal giudice di merito nella sentenza impugnata, o in altro, diverso, parametro. L’ordinanza esaminata si segnala per la decisione di rimettere gli atti alle Sezioni Unite Civili al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale in atto sulla quantificazione della sanzione risarcitoria in discorso. L’Autore, dapprima, ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali formatisi - nella giurisprudenza della Cassazione e di merito - in materia di sanzioni contro l’abuso nell’utilizzo dei contratti a termine nella pubblica amministrazione, verificando che - esclusa, salvo rare eccezioni, la sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro pubblico a termine in rapporto a tempo indeterminato – si giustappongono almeno tre indirizzi relativamente alla quantificazione del danno da risarcire: l’uno ritiene di poter liquidare il danno secondo il parametro offerto dall’art. 18 della legge n. 300/1970; l’altro ritiene di poter applicare in via analogica il sistema indennitario omnicomprensivo di cui all’art. 32, c. 5, della legge n. 183/2010; il terzo afferma che la nozione di danno applicabile debba essere quella di “danno comunitario”, ritenendo che esso possa essere quantificato secondo i criteri previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966. L’Autore condivide la conclusione di una parte della giurisprudenza che si fonda sulla figura del danno-sanzione “comunitario”, perché la non aleatorietà del risarcimento e, quindi, della sanzione, rendono quest’ultima effettiva: essa, dunque, risponde ad uno dei tre connotati che il risarcimento deve cumulare - secondo la Corte di giustizia dell’UE - in questa materia (il principio di effettività). L’Autore ritiene, tuttavia, che la tutela patrimoniale parametrata “tendenzialmente” sull’art. 8 della legge n. 604/1966 (per cui l’indennità deve essere di importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) non rispetti anche gli altri due connotati della nozione del danno a livello comunitario (principio di equivalenza ed effetto dissuasivo); essa, in particolare, non è in grado di determinare una tutela per equivalente della mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro, riconoscendo ai precari, in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia in materia di risarcimento effettivo, una misura equivalente a quella riconosciuta a lavoratori che si trovano in situazioni analoghe nel settore privato.File | Dimensione | Formato | |
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