Mi sia consentito spendere qualche parola ancóra sul rapporto fra la (ri-)definizione adottata di “diritto” e quella di “interpretazione giuridica”. Cercherò di non inoltrarmi in discorsi che fatalmente finirebbero per portare “troppo lontano”, eppure mi pare abbastanza chiaro come, almeno per il giurista, la coerenza della teoria dell’interpretazione giuridica che egli decida d’adottare (o cui concretamente si rifaccia nella propria attività di ricostruzione dell’ordinamento) finisca per essere fortemente debitrice della propria impostazione (magari anche solo implicita) in tema di (concetto di) diritto. A seconda della propria definizione ristretta (della propria ri-definizione) di “diritto”, insomma, finisce necessariamente per cambiare (in un senso o nell’altro) lo stesso modo d’intendere (di qualificare) gli elementi costitutivi del proprio “universo” dell’interpretazione giuridica (tanto in termini di pratica, quanto in termini di teoria). Giusto per capirci (e come già ho tentato di esemplificare in altra sede), giuspositivista, giusrealista e giusnaturalista hanno differenti approcci all’interpretazione – si potrebbe dire, un po’ pomposamente e fidando in una consapevolezza teorica oggidì piuttosto rarefatta, che abbraccino differenti teorie dell’interpretazione giuridica – anche (e forse soprattutto) perché non vedono il diritto allo stesso modo. In generale, anche se lo chiamano con lo stesso nome, non studiano lo stesso oggetto (hanno differenti concetti di “diritto”, appunto) e più in particolare, specificamente in materia d’interpretazione, anche quando sembrerebbero riferirsi alla medesima res – ad esempio, quando parlano dei “documenti normativi” – in realtà pensano a entità concettuali con caratteristiche e funzioni assai differenti.
Amicus Plato… Botta e risposta con Mauro Barberis / Vignudelli, Aljs. - In: DIRITTO & QUESTIONI PUBBLICHE. - ISSN 1825-0173. - ELETTRONICO. - 12:(2012), pp. 547-561.
Amicus Plato… Botta e risposta con Mauro Barberis
VIGNUDELLI, Aljs
2012
Abstract
Mi sia consentito spendere qualche parola ancóra sul rapporto fra la (ri-)definizione adottata di “diritto” e quella di “interpretazione giuridica”. Cercherò di non inoltrarmi in discorsi che fatalmente finirebbero per portare “troppo lontano”, eppure mi pare abbastanza chiaro come, almeno per il giurista, la coerenza della teoria dell’interpretazione giuridica che egli decida d’adottare (o cui concretamente si rifaccia nella propria attività di ricostruzione dell’ordinamento) finisca per essere fortemente debitrice della propria impostazione (magari anche solo implicita) in tema di (concetto di) diritto. A seconda della propria definizione ristretta (della propria ri-definizione) di “diritto”, insomma, finisce necessariamente per cambiare (in un senso o nell’altro) lo stesso modo d’intendere (di qualificare) gli elementi costitutivi del proprio “universo” dell’interpretazione giuridica (tanto in termini di pratica, quanto in termini di teoria). Giusto per capirci (e come già ho tentato di esemplificare in altra sede), giuspositivista, giusrealista e giusnaturalista hanno differenti approcci all’interpretazione – si potrebbe dire, un po’ pomposamente e fidando in una consapevolezza teorica oggidì piuttosto rarefatta, che abbraccino differenti teorie dell’interpretazione giuridica – anche (e forse soprattutto) perché non vedono il diritto allo stesso modo. In generale, anche se lo chiamano con lo stesso nome, non studiano lo stesso oggetto (hanno differenti concetti di “diritto”, appunto) e più in particolare, specificamente in materia d’interpretazione, anche quando sembrerebbero riferirsi alla medesima res – ad esempio, quando parlano dei “documenti normativi” – in realtà pensano a entità concettuali con caratteristiche e funzioni assai differenti.File | Dimensione | Formato | |
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