La Modena tra fine Cinquecento e primo Seicento ha spesso attratto la penna di Albano Biondi, che in quel crinale cronologico decisivo per le sorti della città geminiana aveva individuato un paradigma storiografico di convincente interesse. L’incontro/scontro tra un’autonomia municipale dalle profonde radici e una corte spodestata dalla città che per quasi tre secoli l’aveva ospitata, ben al di là delle vivide coloriture cronachistiche rese dalle fonti, fornisce un modello di laboratorio esemplare per testare prospettive e resistenze di una civiltà urbana assediata dalle pressioni feudali del contado e dalle pretese dell’aristocrazia di corte da un lato e dalla pervasiva operatività dell’Inquisizione per l’altro. Gli apparati principeschi del resto subiscono in quei decisivi anni una fisiologica torsione che li porterà nel giro di qualche decennio ad assumere i contorni sempre più netti di istituzioni funzionali ad obiettivi strategici di controllo del territorio e delle risorse. Lenta, faticosa, ma inesorabile, sarà la metabolizzazione all’interno di quegli apparati dell’élite dirigente modenese, specie di quella di estrazione non aristocratica, in un percorso che porterà la “Modena del 1598” ad essere pienamente centrata nel suo ruolo di città “capitale”.
Modena 1598: la costruzione di una capitale / Tavilla, Carmelo Elio. - STAMPA. - (2012), pp. 63-75.
Modena 1598: la costruzione di una capitale
TAVILLA, Carmelo Elio
2012
Abstract
La Modena tra fine Cinquecento e primo Seicento ha spesso attratto la penna di Albano Biondi, che in quel crinale cronologico decisivo per le sorti della città geminiana aveva individuato un paradigma storiografico di convincente interesse. L’incontro/scontro tra un’autonomia municipale dalle profonde radici e una corte spodestata dalla città che per quasi tre secoli l’aveva ospitata, ben al di là delle vivide coloriture cronachistiche rese dalle fonti, fornisce un modello di laboratorio esemplare per testare prospettive e resistenze di una civiltà urbana assediata dalle pressioni feudali del contado e dalle pretese dell’aristocrazia di corte da un lato e dalla pervasiva operatività dell’Inquisizione per l’altro. Gli apparati principeschi del resto subiscono in quei decisivi anni una fisiologica torsione che li porterà nel giro di qualche decennio ad assumere i contorni sempre più netti di istituzioni funzionali ad obiettivi strategici di controllo del territorio e delle risorse. Lenta, faticosa, ma inesorabile, sarà la metabolizzazione all’interno di quegli apparati dell’élite dirigente modenese, specie di quella di estrazione non aristocratica, in un percorso che porterà la “Modena del 1598” ad essere pienamente centrata nel suo ruolo di città “capitale”.File | Dimensione | Formato | |
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