Il sito romano del canale della ex Cassa di Risparmio di Modena rappresenta un unicum per l’Emilia Romagna per le informazioni archeobotaniche fornite su un territorio urbano. Il canale fu bonificato (15-40 d.C.) con anfore rovesciate e con apporto di grandi quantità di materiali, biologici e no, provenienti dall’area urbana/peri-urbana. Lo studio dei reperti carpologici ha fornito molte informazioni paletnobotaniche sulle attività dell’uomo (colture attuate, dieta vegetale, introduzione di specie esotiche,…). Questi dati hanno prodotto un quadro che si può ritenere rappresentativo per ricostruire l’ambiente di Mutina nel momento di massimo fulgore dell’Impero e della città. Tra le evidenze più significative emerge l’inusuale abbondanza (1625 semi) di Reseda luteola L., specie euroasiatica naturalizzata nell’area mediterranea e attualmente presente, ma rara, nei rudereti della pianura e collina modenese. La reseda in tutte le parti aeree, comprese infiorescenze e semi, produce flavonoidi, il più importante dei quali è la luteolina, pigmento molto stabile usato da tempi antichi per la colorazione di tessuti, come lana, lino e seta. Nei semi romani, per confronto con semi attuali commerciali e con metodi chimici routinari, non è stato possibile evidenziare se non minime tracce del pigmento, per il livello di degradazione delle strutture del seme, che ha lasciato visibile solo parte dello spettro della componente lipidica endospermica. R. luteola è la pianta classica per ottenere il colore giallo, come suggerisce la denominazione specifica, da luteus = giallo, nota anche nelle tradizioni etnobotaniche italiane. I Romani sembra che della reseda utilizzassero i semi, insieme con il fusto, per tingere gli indumenti nuziali e quelli delle Vestali. Durante il Medioevo la zona della Pianura Padana fu uno dei principali centri di produzione di diverse piante tintorie, tra cui la reseda; la sua coltivazione e commercio ebbero poi grande importanza in Italia e Francia durante il Rinascimento e oggi la reseda è di nuovo considerata a livello agronomico per la sempre maggior richiesta di coloranti naturali. L’abbondanza del ritrovamento, compatibile con le modalità di raccolta della pianta che deve avvenire alla maturazione dei frutti, quando il pigmento è più abbondante, suggerisce pratiche colturali attuate nell’area peri-urbana modenese e presumibilmente collegate all’economia di questa fiorente colonia romana. Infatti, nonostante Mutina sia spesso ricordata per le attività agricole e per la produzione ceramica, aveva anche come elementi forti della sua economia l'allevamento ovino e il settore tessile. Strabone ricorda che i luoghi intorno a Modena forniscono “una lana morbida e molto più bella di tutte” (Geographia V, 1, 12 - C 218) e Columella cita le pregiate pecore “che popolano i Campi Macri fra Parma e Modena” (Res rustica VII, 2,3), luogo vicino alla città dove si svolgeva una fiera annuale con un mercato bestiame famoso in tutta la penisola (Strabone, Geographia V, 1, 11 - C 217). Una conferma tangibile viene dal fatto che gli ovicaprini dominano il quadro dei reperti archeozoologici nel sito del canale bonificato. È da ricordare che nel IV sec. d.C. mutinensis diventa sinonimo di alcune qualità di lane e tessuti, e che lanarii e vestiarii sono spesso attestati nelle steli funerarie modenesi, testimonianza della grande diffusione di queste attività nel territorio. A titolo di esempio ricordiamo la stele modenese di Caius Purpurarius Nicephor (fine I sec. d.C.), conservata nel Lapidario di Modena: il purpurarius si occupava principalmente della tintura, dopo le fasi di sgrassatura e candeggio della lana. E alla reseda, che impartisce velocemente ai tessuti un colore giallo, che va dal dorato all’oliva a seconda del mordenzante utilizzato, possiamo accostare quanto si legge nell’Editto di Diocleziano (301 d.C.): “lana modenese, di colore dorato, lavata, una libbra denari 300”. L’ingente ritrovamento di semi di reseda, alla quale si aggiungono, dallo stesso sito e da altri siti cittadini di periodo romano, tracce di tintorie diverse (Carthamus tinctorius e Rubia tinctorum) e di una pianta in uso per cardare la lana (Dipsacus laciniatus), completa il quadro dell’economia fornito dalle fonti storiche e suggerisce che il territorio di Mutina era attrezzato per l’intera filiera della lana.
La coltura della reseda biondella: un primato nell’area di Mutina? / Rinaldi, Rossella; Bosi, Giovanna; Benatti, Alessandra; Mazzanti, Marta. - STAMPA. - Antenor Quaderni 27:(2012), pp. 297-302. (Intervento presentato al convegno La lana nella Cisalpina Romana: economia e società tenutosi a Padova nel 18-20 Maggio 2011).
La coltura della reseda biondella: un primato nell’area di Mutina?
RINALDI, ROSSELLA;BOSI, Giovanna;BENATTI, ALESSANDRA;MAZZANTI, Marta
2012
Abstract
Il sito romano del canale della ex Cassa di Risparmio di Modena rappresenta un unicum per l’Emilia Romagna per le informazioni archeobotaniche fornite su un territorio urbano. Il canale fu bonificato (15-40 d.C.) con anfore rovesciate e con apporto di grandi quantità di materiali, biologici e no, provenienti dall’area urbana/peri-urbana. Lo studio dei reperti carpologici ha fornito molte informazioni paletnobotaniche sulle attività dell’uomo (colture attuate, dieta vegetale, introduzione di specie esotiche,…). Questi dati hanno prodotto un quadro che si può ritenere rappresentativo per ricostruire l’ambiente di Mutina nel momento di massimo fulgore dell’Impero e della città. Tra le evidenze più significative emerge l’inusuale abbondanza (1625 semi) di Reseda luteola L., specie euroasiatica naturalizzata nell’area mediterranea e attualmente presente, ma rara, nei rudereti della pianura e collina modenese. La reseda in tutte le parti aeree, comprese infiorescenze e semi, produce flavonoidi, il più importante dei quali è la luteolina, pigmento molto stabile usato da tempi antichi per la colorazione di tessuti, come lana, lino e seta. Nei semi romani, per confronto con semi attuali commerciali e con metodi chimici routinari, non è stato possibile evidenziare se non minime tracce del pigmento, per il livello di degradazione delle strutture del seme, che ha lasciato visibile solo parte dello spettro della componente lipidica endospermica. R. luteola è la pianta classica per ottenere il colore giallo, come suggerisce la denominazione specifica, da luteus = giallo, nota anche nelle tradizioni etnobotaniche italiane. I Romani sembra che della reseda utilizzassero i semi, insieme con il fusto, per tingere gli indumenti nuziali e quelli delle Vestali. Durante il Medioevo la zona della Pianura Padana fu uno dei principali centri di produzione di diverse piante tintorie, tra cui la reseda; la sua coltivazione e commercio ebbero poi grande importanza in Italia e Francia durante il Rinascimento e oggi la reseda è di nuovo considerata a livello agronomico per la sempre maggior richiesta di coloranti naturali. L’abbondanza del ritrovamento, compatibile con le modalità di raccolta della pianta che deve avvenire alla maturazione dei frutti, quando il pigmento è più abbondante, suggerisce pratiche colturali attuate nell’area peri-urbana modenese e presumibilmente collegate all’economia di questa fiorente colonia romana. Infatti, nonostante Mutina sia spesso ricordata per le attività agricole e per la produzione ceramica, aveva anche come elementi forti della sua economia l'allevamento ovino e il settore tessile. Strabone ricorda che i luoghi intorno a Modena forniscono “una lana morbida e molto più bella di tutte” (Geographia V, 1, 12 - C 218) e Columella cita le pregiate pecore “che popolano i Campi Macri fra Parma e Modena” (Res rustica VII, 2,3), luogo vicino alla città dove si svolgeva una fiera annuale con un mercato bestiame famoso in tutta la penisola (Strabone, Geographia V, 1, 11 - C 217). Una conferma tangibile viene dal fatto che gli ovicaprini dominano il quadro dei reperti archeozoologici nel sito del canale bonificato. È da ricordare che nel IV sec. d.C. mutinensis diventa sinonimo di alcune qualità di lane e tessuti, e che lanarii e vestiarii sono spesso attestati nelle steli funerarie modenesi, testimonianza della grande diffusione di queste attività nel territorio. A titolo di esempio ricordiamo la stele modenese di Caius Purpurarius Nicephor (fine I sec. d.C.), conservata nel Lapidario di Modena: il purpurarius si occupava principalmente della tintura, dopo le fasi di sgrassatura e candeggio della lana. E alla reseda, che impartisce velocemente ai tessuti un colore giallo, che va dal dorato all’oliva a seconda del mordenzante utilizzato, possiamo accostare quanto si legge nell’Editto di Diocleziano (301 d.C.): “lana modenese, di colore dorato, lavata, una libbra denari 300”. L’ingente ritrovamento di semi di reseda, alla quale si aggiungono, dallo stesso sito e da altri siti cittadini di periodo romano, tracce di tintorie diverse (Carthamus tinctorius e Rubia tinctorum) e di una pianta in uso per cardare la lana (Dipsacus laciniatus), completa il quadro dell’economia fornito dalle fonti storiche e suggerisce che il territorio di Mutina era attrezzato per l’intera filiera della lana.Pubblicazioni consigliate
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