Modificare il quadro giuridico di regolazione dei rapporti di lavoro è, da sempre, operazione non facile. In Italia più che altrove. Va pertanto apprezzato lo sforzo di chi – pur consapevole delle molteplici sensibilità e delle relative implicazioni politiche, economiche e sociali – voglia cimentarsi seriamente in un’impresa tanto complessa quanto fondamentale per il rilancio del nostro Paese. Con la l. n. 92/2012 il Governo Monti, certamente favorito da un contesto politico-istituzionale del tutto particolare e per molti versi irripetibile, ha per la prima volta dimostrato che è possibile superare quei veti corporativi e quei tabù che, da troppo tempo oramai, penalizzano le imprese italiane e, conseguentemente, anche i loro lavoratori nel contesto internazionale e comparato. Questo, a ben vedere, è il principale merito che va attribuito alla riforma del lavoro varata lo scorso lo scorso 27 giugno 2012. Autorevoli esponenti della comunità dei giuslavoristi hanno subito palesato «un senso di profondo disagio per la infinita leggerezza della conoscenza dimostrata in materia dal Presidente del Consiglio, dal Ministro del welfare, dal Sottosegretario alla Presidenza, attraverso fin troppo frequenti esternazioni, dichiarazioni, interviste». Vero è, peraltro, che obiezioni di tipo tecnico e dommatico, anche quando vengono puntualmente sollevate, come capita ora con la riforma Monti-Fornero, risultano non di rado strumentali a ben precise ideologie o scuole di pensiero sui rapporti tra capitale e lavoro.
Una riforma a metà del guado / Tiraboschi, Michele. - STAMPA. - (2012), pp. 15-21.
Una riforma a metà del guado
Tiraboschi, Michele
2012
Abstract
Modificare il quadro giuridico di regolazione dei rapporti di lavoro è, da sempre, operazione non facile. In Italia più che altrove. Va pertanto apprezzato lo sforzo di chi – pur consapevole delle molteplici sensibilità e delle relative implicazioni politiche, economiche e sociali – voglia cimentarsi seriamente in un’impresa tanto complessa quanto fondamentale per il rilancio del nostro Paese. Con la l. n. 92/2012 il Governo Monti, certamente favorito da un contesto politico-istituzionale del tutto particolare e per molti versi irripetibile, ha per la prima volta dimostrato che è possibile superare quei veti corporativi e quei tabù che, da troppo tempo oramai, penalizzano le imprese italiane e, conseguentemente, anche i loro lavoratori nel contesto internazionale e comparato. Questo, a ben vedere, è il principale merito che va attribuito alla riforma del lavoro varata lo scorso lo scorso 27 giugno 2012. Autorevoli esponenti della comunità dei giuslavoristi hanno subito palesato «un senso di profondo disagio per la infinita leggerezza della conoscenza dimostrata in materia dal Presidente del Consiglio, dal Ministro del welfare, dal Sottosegretario alla Presidenza, attraverso fin troppo frequenti esternazioni, dichiarazioni, interviste». Vero è, peraltro, che obiezioni di tipo tecnico e dommatico, anche quando vengono puntualmente sollevate, come capita ora con la riforma Monti-Fornero, risultano non di rado strumentali a ben precise ideologie o scuole di pensiero sui rapporti tra capitale e lavoro.File | Dimensione | Formato | |
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