La pena di morte ha origine antiche. In Italia, in particolare, essa è stata legittimata dal diritto romano per un verso e per l’altro da quel versante del diritto canonico che ha dato vita all’Inquisizione finalizzata alla repressione dell’eresia. La pena capitale, a cui si accompagnavano pene accessorie (la più comune delle quali era la confisca dei beni del giustiziato), veniva modulata secondo la qualità del crimine, la condizione del condannato e le prassi locali: oltre all’impiccagione o alla decapitazione o al rogo, erano previste le modalità “esacerbate” (normalmente previste per crimini quali l’omicidio aggravato, la cospirazione, il brigantaggio), consistenti normalmente nel taglio della mano, nelle tenagliate, nelle mazzolate, nello squarto, nell’esposizione del cadavere o dei suoi lacerti oppure nel rogo del cadavere e delle dispersione delle ceneri. Si tenga in debito conto, inoltre, che in area italiana, secondo una pratica invalsa in molti comuni medievali e in seguito fatta propria dalla dottrina, la condanna penale, compresa quella sanzionante l’ultimo supplizio, non era appellabile; l’unico rimedio possibile, e normalmente praticato, era quello della supplica di grazia rivolta all’autorità sovrana, che dispensava la clemenza in piena discrezionalità e secondo logiche di opportunità ‘politica’.L’emergere e il diffondersi delle teorie e del giusnaturalismo e del giuscontrattualismo mettono al centro della riflessione l’individuo e i suoi diritti naturali – primo tra tutti, la vita – garantiti dallo Stato. È in questo contesto che, nel Settecento maturo, vengono avanzate le prime proposte dichiaratamente abolizioniste: tra tutte, la più celebre è quella espressa da Cesare Beccaria nel suo celebre Dei delitti e delle pene (1764). La proposta beccariana verrà ufficialmente recepita in via legislativa per la prima volta nel 1786 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo.Dopo la parentesi della dominazione napoleonica e quella della Restaurazione, il dibattito abolizionista riprende proprio là dove si era interrotto. Fu proprio in Toscana, infatti, che nel 1859 il governo provvisorio, succeduto alla caduta dei Lorena e preludente al plebiscito e all’unificazione nazionale, provvide all’abolizione della pena di morte, sostituita con l’ergastolo. L’estensione del codice penale sardo a tutti gli stati annessi, con l’eccezione appunto della Toscana, creò un doppio regime sanzionatorio che si protrasse sino al 1889.In questo quadro, già all’indomani dell’Unità, si venne ad imbastire un amplissimo dibattito sull’opportunità a meno di estendere a tutto il Regno l’abolizione della pena capitale, un dibattito caratterizzato non soltanto da singole e autorevoli voci espresse in tal senso, ma anche dal fiorire di iniziative di riflessione collettiva, quali il Giornale per l’abolizione della pena di morte uscito tra il 1861 ed il 1864 sotto la direzione di Pietro Ellero, la Rivista penale diretta a partire dal 1874 da Luigi Lucchini, nonché Biblioteca dell’abolizionista diretta da Francesco Carrara.La discussione parlamentare seguì a ruota quanto calorosamente sviscerato nelle pagine a stampa, senza comunque riuscire in breve tempo a produrre esiti legislativi ufficiali, in particolare per la resistenza opposta dal Senato del Regno. La contesa si fece più incisiva grazie all’iniziativa parlamentare promossa da Pasquale Stanislao Mancini, appoggiata tra l’altro anche da organi esterni al parlamento, come nel caso del primo Congresso giuridico tenutosi a Roma nel 1872 che, con la sua delibera adottata all’unanimità, servì a dare il segno della totale adesione della scienza penalistica italiana alla causa abolizionista.Per quanto ormai forte la pressione sul parlamento, l’esito finale venne raggiunto solo con la promulgazione, nel 1889, del codice penale voluto dal guardasigilli Giuseppe Zanardelli, che in tal modo recepiva i voti della quasi totalità del mondo scientifico e professionale, restituendo all’Italia il primato su questo fronte della civiltà giuridica.

Guerra contro il crimine. Pena di morte e abolizionismo nella cultura giuridica italiana / Tavilla, Carmelo Elio. - STAMPA. - (2012), pp. 151-185.

Guerra contro il crimine. Pena di morte e abolizionismo nella cultura giuridica italiana

TAVILLA, Carmelo Elio
2012

Abstract

La pena di morte ha origine antiche. In Italia, in particolare, essa è stata legittimata dal diritto romano per un verso e per l’altro da quel versante del diritto canonico che ha dato vita all’Inquisizione finalizzata alla repressione dell’eresia. La pena capitale, a cui si accompagnavano pene accessorie (la più comune delle quali era la confisca dei beni del giustiziato), veniva modulata secondo la qualità del crimine, la condizione del condannato e le prassi locali: oltre all’impiccagione o alla decapitazione o al rogo, erano previste le modalità “esacerbate” (normalmente previste per crimini quali l’omicidio aggravato, la cospirazione, il brigantaggio), consistenti normalmente nel taglio della mano, nelle tenagliate, nelle mazzolate, nello squarto, nell’esposizione del cadavere o dei suoi lacerti oppure nel rogo del cadavere e delle dispersione delle ceneri. Si tenga in debito conto, inoltre, che in area italiana, secondo una pratica invalsa in molti comuni medievali e in seguito fatta propria dalla dottrina, la condanna penale, compresa quella sanzionante l’ultimo supplizio, non era appellabile; l’unico rimedio possibile, e normalmente praticato, era quello della supplica di grazia rivolta all’autorità sovrana, che dispensava la clemenza in piena discrezionalità e secondo logiche di opportunità ‘politica’.L’emergere e il diffondersi delle teorie e del giusnaturalismo e del giuscontrattualismo mettono al centro della riflessione l’individuo e i suoi diritti naturali – primo tra tutti, la vita – garantiti dallo Stato. È in questo contesto che, nel Settecento maturo, vengono avanzate le prime proposte dichiaratamente abolizioniste: tra tutte, la più celebre è quella espressa da Cesare Beccaria nel suo celebre Dei delitti e delle pene (1764). La proposta beccariana verrà ufficialmente recepita in via legislativa per la prima volta nel 1786 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo.Dopo la parentesi della dominazione napoleonica e quella della Restaurazione, il dibattito abolizionista riprende proprio là dove si era interrotto. Fu proprio in Toscana, infatti, che nel 1859 il governo provvisorio, succeduto alla caduta dei Lorena e preludente al plebiscito e all’unificazione nazionale, provvide all’abolizione della pena di morte, sostituita con l’ergastolo. L’estensione del codice penale sardo a tutti gli stati annessi, con l’eccezione appunto della Toscana, creò un doppio regime sanzionatorio che si protrasse sino al 1889.In questo quadro, già all’indomani dell’Unità, si venne ad imbastire un amplissimo dibattito sull’opportunità a meno di estendere a tutto il Regno l’abolizione della pena capitale, un dibattito caratterizzato non soltanto da singole e autorevoli voci espresse in tal senso, ma anche dal fiorire di iniziative di riflessione collettiva, quali il Giornale per l’abolizione della pena di morte uscito tra il 1861 ed il 1864 sotto la direzione di Pietro Ellero, la Rivista penale diretta a partire dal 1874 da Luigi Lucchini, nonché Biblioteca dell’abolizionista diretta da Francesco Carrara.La discussione parlamentare seguì a ruota quanto calorosamente sviscerato nelle pagine a stampa, senza comunque riuscire in breve tempo a produrre esiti legislativi ufficiali, in particolare per la resistenza opposta dal Senato del Regno. La contesa si fece più incisiva grazie all’iniziativa parlamentare promossa da Pasquale Stanislao Mancini, appoggiata tra l’altro anche da organi esterni al parlamento, come nel caso del primo Congresso giuridico tenutosi a Roma nel 1872 che, con la sua delibera adottata all’unanimità, servì a dare il segno della totale adesione della scienza penalistica italiana alla causa abolizionista.Per quanto ormai forte la pressione sul parlamento, l’esito finale venne raggiunto solo con la promulgazione, nel 1889, del codice penale voluto dal guardasigilli Giuseppe Zanardelli, che in tal modo recepiva i voti della quasi totalità del mondo scientifico e professionale, restituendo all’Italia il primato su questo fronte della civiltà giuridica.
2012
Il diritto come forza, la forza del diritto. Le fonti in azione nel diritto europeo tra medioevo ed età contemporanea
9788834827611
Giappichelli
ITALIA
Guerra contro il crimine. Pena di morte e abolizionismo nella cultura giuridica italiana / Tavilla, Carmelo Elio. - STAMPA. - (2012), pp. 151-185.
Tavilla, Carmelo Elio
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