Il declino di status della lingua italiana come lingua della comunicazione scientifica è un dato di fatto ben noto ma, per certi versi, non sempre altrettanto approfondito. Vari aspetti del fenomeno sono stati affrontati e parzialmente quantificati sia attraverso indagini e studi specifici in ambito linguistico (Carli e Calaresu 2003; 2007; Calaresu 2006), sia attraverso documenti ministeriali ufficiali quali, ad es., la Relazione finale del Comitatato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR) 2001-03 (Cuccurullo 2007).Le diffuse proteste e lamentele -più o meno argomentate, più o meno sensatamente fondate- sulla crescente dominanza dell’inglese tendono però spesso a lasciare sullo sfondo il fatto che il potenziale discriminatorio di questa lingua in ambito scientifico è usualmente diretto con maggior forza verso la modalità scritta piuttosto che verso quella parlata. È infatti in ambito di produzione scientifica scritta, più che di produzione scientifica orale, che si materializzano davvero gli effetti discriminatori della condivisione plurisecolare, tipicamente occidentale, non solo del maggior prestigio della scrittura, ma di quello che è ormai il vero e proprio mito del native-speaker (Bonfiglio 2010). Il vero discrimine tra accesso e non accesso alla comunità scientifica internazionale (gate-keeping) appare essere dunque il possesso di una biliteracy da bilingui nativi (reale o supportata dall’aiuto di invisibili traduttori nativi), più che un generico bilinguismo italiano-inglese. La messa in primo piano del ruolo e dello status della scrittura nella comunicazione scientifica permette quindi di valutare meglio l’opportunità di ricorrere al concetto di diglossia per descrivere e spiegare l’attuale rapporto tra italiano e inglese in ambito scientifico e accademico (Calaresu 2011, in c. di p.). Già vari studiosi hanno fatto ricorso al concetto di diglossia trattando di comunicazione scientifica, sia in termini generali (Mühleisen 2003) che concentrandosi su situazioni nazionali specifiche, quali quelle dell’Europa settentrionale, ma non solo (cfr., per es., molti lavori in Ammon 2001, e Ljosland 2007). Si cercherà quindi di capire quanto la situazione attuale della lingua italiana in ambito scientifico e accademico sia confrontabile con quella di altre lingue europee diverse dall’inglese e quanto il ricorso alla nozione, spesso abusata, di diglossia sia giustificato in termini sia di potenziale esplicativo che, almeno latamente, predittivo.

L’italiano e le altre lingue nella comunicazione scientifica nazionale e internazionale. La pressione per la biliteracy e l’incipienza di nuove forme di diglossia / Calaresu, Emilia Maria. - STAMPA. - 1:(2012), pp. 521-537. (Intervento presentato al convegno Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria tenutosi a Aosta, Bard, Torino nel 26-28 settembre 2011).

L’italiano e le altre lingue nella comunicazione scientifica nazionale e internazionale. La pressione per la biliteracy e l’incipienza di nuove forme di diglossia

CALARESU, Emilia Maria
2012

Abstract

Il declino di status della lingua italiana come lingua della comunicazione scientifica è un dato di fatto ben noto ma, per certi versi, non sempre altrettanto approfondito. Vari aspetti del fenomeno sono stati affrontati e parzialmente quantificati sia attraverso indagini e studi specifici in ambito linguistico (Carli e Calaresu 2003; 2007; Calaresu 2006), sia attraverso documenti ministeriali ufficiali quali, ad es., la Relazione finale del Comitatato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR) 2001-03 (Cuccurullo 2007).Le diffuse proteste e lamentele -più o meno argomentate, più o meno sensatamente fondate- sulla crescente dominanza dell’inglese tendono però spesso a lasciare sullo sfondo il fatto che il potenziale discriminatorio di questa lingua in ambito scientifico è usualmente diretto con maggior forza verso la modalità scritta piuttosto che verso quella parlata. È infatti in ambito di produzione scientifica scritta, più che di produzione scientifica orale, che si materializzano davvero gli effetti discriminatori della condivisione plurisecolare, tipicamente occidentale, non solo del maggior prestigio della scrittura, ma di quello che è ormai il vero e proprio mito del native-speaker (Bonfiglio 2010). Il vero discrimine tra accesso e non accesso alla comunità scientifica internazionale (gate-keeping) appare essere dunque il possesso di una biliteracy da bilingui nativi (reale o supportata dall’aiuto di invisibili traduttori nativi), più che un generico bilinguismo italiano-inglese. La messa in primo piano del ruolo e dello status della scrittura nella comunicazione scientifica permette quindi di valutare meglio l’opportunità di ricorrere al concetto di diglossia per descrivere e spiegare l’attuale rapporto tra italiano e inglese in ambito scientifico e accademico (Calaresu 2011, in c. di p.). Già vari studiosi hanno fatto ricorso al concetto di diglossia trattando di comunicazione scientifica, sia in termini generali (Mühleisen 2003) che concentrandosi su situazioni nazionali specifiche, quali quelle dell’Europa settentrionale, ma non solo (cfr., per es., molti lavori in Ammon 2001, e Ljosland 2007). Si cercherà quindi di capire quanto la situazione attuale della lingua italiana in ambito scientifico e accademico sia confrontabile con quella di altre lingue europee diverse dall’inglese e quanto il ricorso alla nozione, spesso abusata, di diglossia sia giustificato in termini sia di potenziale esplicativo che, almeno latamente, predittivo.
2012
Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria
Aosta, Bard, Torino
26-28 settembre 2011
1
521
537
Calaresu, Emilia Maria
L’italiano e le altre lingue nella comunicazione scientifica nazionale e internazionale. La pressione per la biliteracy e l’incipienza di nuove forme di diglossia / Calaresu, Emilia Maria. - STAMPA. - 1:(2012), pp. 521-537. (Intervento presentato al convegno Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria tenutosi a Aosta, Bard, Torino nel 26-28 settembre 2011).
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