La storiografia di finzione, come testimonia "Il mio secolo" di Günter Grass, mostra come proprio grazie alla coscienza della relatività dei punti di vista sia possibile lasciare che la voce del criminale si dispieghi senza timore che possa imporsi come veritiera. Proprio la sospensione temporanea la domanda sul vero e sul falso, sul giusto e sull’ingiusto per lasciare che il gioco di finzione storico si manifesti, permette che il confronto con la storia avvenga nel presente di ogni lettore. Un lettore che per sottrarsi alla violenza di un’autorità che impone la propria voce ha il dovere di farsi continuamente interrogare dalla storia e dai suoi crimini e di cercare ogni volta risposte.Solo così è possibile non replicare nell’azione del narrare la violenza della realtà narrata. In tal senso dar voce al nemico si rivela un gesto che interrompe la spirale della violenza, che traduce in forme comunicative l’intento dialogico. Annientare il nemico, farlo tacere, perpetua il gesto violento di cui è artefice. Nel poterlo conoscere anche nella sua malvagità si pone una speranza di pace.
Finzione e coscienza storica. Per una narrazione non violenta della violenza / Giacobazzi, Cesare. - STAMPA. - (2008), pp. 47-58.
Finzione e coscienza storica. Per una narrazione non violenta della violenza
GIACOBAZZI, Cesare
2008
Abstract
La storiografia di finzione, come testimonia "Il mio secolo" di Günter Grass, mostra come proprio grazie alla coscienza della relatività dei punti di vista sia possibile lasciare che la voce del criminale si dispieghi senza timore che possa imporsi come veritiera. Proprio la sospensione temporanea la domanda sul vero e sul falso, sul giusto e sull’ingiusto per lasciare che il gioco di finzione storico si manifesti, permette che il confronto con la storia avvenga nel presente di ogni lettore. Un lettore che per sottrarsi alla violenza di un’autorità che impone la propria voce ha il dovere di farsi continuamente interrogare dalla storia e dai suoi crimini e di cercare ogni volta risposte.Solo così è possibile non replicare nell’azione del narrare la violenza della realtà narrata. In tal senso dar voce al nemico si rivela un gesto che interrompe la spirale della violenza, che traduce in forme comunicative l’intento dialogico. Annientare il nemico, farlo tacere, perpetua il gesto violento di cui è artefice. Nel poterlo conoscere anche nella sua malvagità si pone una speranza di pace.Pubblicazioni consigliate
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