Fin dalla seconda metà del secolo scorso sono stati riconosciuti nei terreni miocenici dell’Appennino settentrionale affioramenti di calcari e calcari marnosi contenenti una ricca macrofauna a bivalvi, noti col nome di “Calcari a Lucina”. Recentemente, grazie ad analisi geochimiche e paleoecologiche, tali calcari sono stati interpretati come chemioerme legate all’emanazione di fluidi freddi (cold seeps), dove la precipitazione autigena del carbonato è indotta dall’attività di batteri chemiosintetici (solforiduttori e metanossidanti), viventi in simbiosi con i bivalvi. Nell’Appennino settentrionale questi carbonati affiorano in differenti contesti geotettonici, dai bacini satellite (successione epiligure) all’avanfossa (peliti di scarpata e depositi torbiditici). Di particolare interesse sono i calcari metanogenici contenuti negli orizzonti pelitici della F. Marnoso-arenacea del Miocene medio, affioranti nell’Appennino tosco-romagnolo. Questi orizzonti sono composti da torbiditi prevalentemente siltoso-marnose in strati sottili, estesi lateralmente svariati chilometri e spiccanti rispetto al paesaggio circostante, tanto da essere assunti come marker litostratigrafici. Al loro interno contengono gigantesche frane sottomarine sia intraformazionali (megaslumps) che talvolta extraformazionali (di pertinenza ligure, subligure o toscana). Due di questi orizzonti sono stati rilevati in dettaglio (alla scala 1:10.000): uno di età langhiana (orizzonte di Podere Filetta-Castagno d’Andrea) viene segnalato per la prima volta, mentre l’altro (orizzonte di Fosso Rimaggio-Mondera) di età serravalliana, era in parte già conosciuto.Lo studio di dettaglio ha permesso di distinguere le torbiditi pelitiche in quattro litofacies: (a) siltiti e siltiti arenacee in strati sottili, (b) marne siltose e marne arenacee con rare e sottili intercalazioni arenacee, (c) areniti medio-grossolane in strati da sottili a medi alternate a peliti marnose, (d) areniti fini in strati sottili alternate a brecce argillose. Le prime due sono nettamente prevalenti sulle seconde. La successione verticale degli orizzonti si presenta così costituita: i primi 15-20 m sono sempre privi di chemioerme e possono non essere coinvolti in frane sottomarine; seguono 40-80 m caratterizzati da intercalazioni lentiformi di calcari metanogenici; la restante porzione è priva di carbonati ma è generalmente coinvolta, assieme alla precedente, in spettacolari megaslumps e può comprendere frane extraformazionali. I depositi carbonatici non solo sono concentrati alla base degli orizzonti pelitici, ma anche in gruppi separati lateralmente fra loro per circa 1-2 km. Essi possono essere distinti in due tipologie di affioramento: la prima caratterizzata da 3-4 lenti di grandi dimensioni (da decametriche ad ettometriche) e spessori (5-25 m), generalmente in posizione primaria (autoctona); la seconda è invece composta da lenti di dimensioni minori (da decimetriche a metriche) e di spessori esigui (30-300 cm), ripetute innumerevoli volte sia lateralmente che verticalmente, a composizione più marnosa della precedente, con passaggi più graduali al sedimento pelitico circostante e quasi sempre in posizione rimaneggiata (coinvolte nei megaslumps).Tutti i carbonati sono spesso ricchi di macrofossili disposti a nidi, con lucinidi nettamente predominanti rispetto ai mitilidi. Le chemioerme sono sempre caratterizzate da un intenso odore di zolfo e/o di idrogeno solforato, da litologie composte da calcari micritici, calcari marnosi e subordinate calcareniti, calcilutiti. Strutture caratteristiche sono i doughnuts e la brecciatura. I primi sono condotti circolari riempiti da calcite spatica, frammenti di gusci, piccoli inclusi pelitici e arenacei provenienti dal sedimento incassante, il tutto immerso in una matrice micritica. La brecciatura può essere composta sia da brecce calcaree monogeniche, sia da brecce poligeniche (composte da frammenti calcarei delle sopraddette litologie e da clasti e frammenti arenacei provenienti dalla F. Marnoso-arenacea). La presenza di sottili fratture non sistematiche e di reticolati di vene carbonatiche conferisce alle chemioerme un aspetto pure brecciato isolando porzioni calcaree a spigoli vivi delle dimensioni più svariate. In molti casi la matrice fra le brecce contiene clasti arenitici e/o pelitici provenienti sia dalle torbide degli orizzonti pelitici sia da quelle della Marnoso-arenacea. Esistono inoltre depositi brecciati inseriti in corpi stratificati e caratterizzati da una mescolanza di clasti, frammenti di roccia e bivalvi disarticolati collegabili a processi gravitativi tipo debris e grain flow. Alla base delle chemioerme sono frequenti fratture e condotti (pipes) riempiti da materiale pelitico e brecce, che possono diventare talmente fitti, da isolare, talvolta in maniera caotica, piccoli ammassi carbonatici. Queste strutture suggeriscono che il diapirismo dovuto a sovrappressioni di fluidi in sedimenti pelitici sia un meccanismo importante per la loro genesi, analogamente a quanto riportato nei carbonati metanoderivati attuali. La risalita di fluidi freddi ricchi in idrocarburi non è infatti solo responsabile delle deposizione del carbonato e della formazione delle comunità chemiosintetiche, ma può anche produrre la liquefazione dei sedimenti pelitici creando strutture caotiche di ampie dimensioni (mélanges), generalmente imputate a meccanismi gravitativi. Durante la loro risalita, i fluidi, in pressione per motivi tettonici, possono inglobare differenti tipi di sedimenti e portare alla rottura di strutture carbonatiche precedentemente formatesi, spiegando così l'origine dei diversi tipi di brecciatura. Inoltre tali fluidi, permeando pervasivamente estese porzioni degli orizzonti peltici, ne indeboliscono le proprietà meccaniche, favorendo l'innesco di spettacolari megaslumps, anche lungo pendii pochissimo inclinati. La stretta relazione fra tettonica-fluidi-chemioerme ed instabilità sedimentaria è anche documentata dalla presenza delle frane extraformazionali (olistostromi), il cui distacco era favorito dai fluidi in sovrapressione lungo i piani di accavallamento appenninici.

Emanazioni di fluidi ed instabilità sedimentaria nell’avanfossa appenninica: l’esempio della F. Marnoso-arenacea / Conti, Stefano. - STAMPA. - (1999), pp. 314-316. (Intervento presentato al convegno Geoitalia 1999 tenutosi a Bellaria (RN) nel 20-23 Settembre).

Emanazioni di fluidi ed instabilità sedimentaria nell’avanfossa appenninica: l’esempio della F. Marnoso-arenacea

CONTI, Stefano
1999

Abstract

Fin dalla seconda metà del secolo scorso sono stati riconosciuti nei terreni miocenici dell’Appennino settentrionale affioramenti di calcari e calcari marnosi contenenti una ricca macrofauna a bivalvi, noti col nome di “Calcari a Lucina”. Recentemente, grazie ad analisi geochimiche e paleoecologiche, tali calcari sono stati interpretati come chemioerme legate all’emanazione di fluidi freddi (cold seeps), dove la precipitazione autigena del carbonato è indotta dall’attività di batteri chemiosintetici (solforiduttori e metanossidanti), viventi in simbiosi con i bivalvi. Nell’Appennino settentrionale questi carbonati affiorano in differenti contesti geotettonici, dai bacini satellite (successione epiligure) all’avanfossa (peliti di scarpata e depositi torbiditici). Di particolare interesse sono i calcari metanogenici contenuti negli orizzonti pelitici della F. Marnoso-arenacea del Miocene medio, affioranti nell’Appennino tosco-romagnolo. Questi orizzonti sono composti da torbiditi prevalentemente siltoso-marnose in strati sottili, estesi lateralmente svariati chilometri e spiccanti rispetto al paesaggio circostante, tanto da essere assunti come marker litostratigrafici. Al loro interno contengono gigantesche frane sottomarine sia intraformazionali (megaslumps) che talvolta extraformazionali (di pertinenza ligure, subligure o toscana). Due di questi orizzonti sono stati rilevati in dettaglio (alla scala 1:10.000): uno di età langhiana (orizzonte di Podere Filetta-Castagno d’Andrea) viene segnalato per la prima volta, mentre l’altro (orizzonte di Fosso Rimaggio-Mondera) di età serravalliana, era in parte già conosciuto.Lo studio di dettaglio ha permesso di distinguere le torbiditi pelitiche in quattro litofacies: (a) siltiti e siltiti arenacee in strati sottili, (b) marne siltose e marne arenacee con rare e sottili intercalazioni arenacee, (c) areniti medio-grossolane in strati da sottili a medi alternate a peliti marnose, (d) areniti fini in strati sottili alternate a brecce argillose. Le prime due sono nettamente prevalenti sulle seconde. La successione verticale degli orizzonti si presenta così costituita: i primi 15-20 m sono sempre privi di chemioerme e possono non essere coinvolti in frane sottomarine; seguono 40-80 m caratterizzati da intercalazioni lentiformi di calcari metanogenici; la restante porzione è priva di carbonati ma è generalmente coinvolta, assieme alla precedente, in spettacolari megaslumps e può comprendere frane extraformazionali. I depositi carbonatici non solo sono concentrati alla base degli orizzonti pelitici, ma anche in gruppi separati lateralmente fra loro per circa 1-2 km. Essi possono essere distinti in due tipologie di affioramento: la prima caratterizzata da 3-4 lenti di grandi dimensioni (da decametriche ad ettometriche) e spessori (5-25 m), generalmente in posizione primaria (autoctona); la seconda è invece composta da lenti di dimensioni minori (da decimetriche a metriche) e di spessori esigui (30-300 cm), ripetute innumerevoli volte sia lateralmente che verticalmente, a composizione più marnosa della precedente, con passaggi più graduali al sedimento pelitico circostante e quasi sempre in posizione rimaneggiata (coinvolte nei megaslumps).Tutti i carbonati sono spesso ricchi di macrofossili disposti a nidi, con lucinidi nettamente predominanti rispetto ai mitilidi. Le chemioerme sono sempre caratterizzate da un intenso odore di zolfo e/o di idrogeno solforato, da litologie composte da calcari micritici, calcari marnosi e subordinate calcareniti, calcilutiti. Strutture caratteristiche sono i doughnuts e la brecciatura. I primi sono condotti circolari riempiti da calcite spatica, frammenti di gusci, piccoli inclusi pelitici e arenacei provenienti dal sedimento incassante, il tutto immerso in una matrice micritica. La brecciatura può essere composta sia da brecce calcaree monogeniche, sia da brecce poligeniche (composte da frammenti calcarei delle sopraddette litologie e da clasti e frammenti arenacei provenienti dalla F. Marnoso-arenacea). La presenza di sottili fratture non sistematiche e di reticolati di vene carbonatiche conferisce alle chemioerme un aspetto pure brecciato isolando porzioni calcaree a spigoli vivi delle dimensioni più svariate. In molti casi la matrice fra le brecce contiene clasti arenitici e/o pelitici provenienti sia dalle torbide degli orizzonti pelitici sia da quelle della Marnoso-arenacea. Esistono inoltre depositi brecciati inseriti in corpi stratificati e caratterizzati da una mescolanza di clasti, frammenti di roccia e bivalvi disarticolati collegabili a processi gravitativi tipo debris e grain flow. Alla base delle chemioerme sono frequenti fratture e condotti (pipes) riempiti da materiale pelitico e brecce, che possono diventare talmente fitti, da isolare, talvolta in maniera caotica, piccoli ammassi carbonatici. Queste strutture suggeriscono che il diapirismo dovuto a sovrappressioni di fluidi in sedimenti pelitici sia un meccanismo importante per la loro genesi, analogamente a quanto riportato nei carbonati metanoderivati attuali. La risalita di fluidi freddi ricchi in idrocarburi non è infatti solo responsabile delle deposizione del carbonato e della formazione delle comunità chemiosintetiche, ma può anche produrre la liquefazione dei sedimenti pelitici creando strutture caotiche di ampie dimensioni (mélanges), generalmente imputate a meccanismi gravitativi. Durante la loro risalita, i fluidi, in pressione per motivi tettonici, possono inglobare differenti tipi di sedimenti e portare alla rottura di strutture carbonatiche precedentemente formatesi, spiegando così l'origine dei diversi tipi di brecciatura. Inoltre tali fluidi, permeando pervasivamente estese porzioni degli orizzonti peltici, ne indeboliscono le proprietà meccaniche, favorendo l'innesco di spettacolari megaslumps, anche lungo pendii pochissimo inclinati. La stretta relazione fra tettonica-fluidi-chemioerme ed instabilità sedimentaria è anche documentata dalla presenza delle frane extraformazionali (olistostromi), il cui distacco era favorito dai fluidi in sovrapressione lungo i piani di accavallamento appenninici.
1999
Geoitalia 1999
Bellaria (RN)
20-23 Settembre
314
316
Conti, Stefano
Emanazioni di fluidi ed instabilità sedimentaria nell’avanfossa appenninica: l’esempio della F. Marnoso-arenacea / Conti, Stefano. - STAMPA. - (1999), pp. 314-316. (Intervento presentato al convegno Geoitalia 1999 tenutosi a Bellaria (RN) nel 20-23 Settembre).
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