Il decreto collegato alla finanziaria per il 2004 ha trasformato la Cassa Depositi e Prestiti da ente pubblico in società per azioni. Lo Stato, in un primo momento, ha detenuto la totalità del capitale della neonata Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., per poi cederne una cospicua quota di minoranza alle fondazioni bancarie. La Cassa ha svolto sinora una funzione importantissima tra i meccanismi di raccolta del risparmio (attraverso il c.d. risparmio postale) e di finanziamento degli enti pubblici e, in particolare, degli enti locali a tassi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. Si trattava, in sostanza, di uno strumento di politiche fiscali e redistributive dello Stato, poiché la Cassa non poteva valutare il merito di credito dell’ente che richiedeva un affidamento. Potrà la Cassa svolgere la stessa funzione dopo la, sia pure formale, privatizzazione? Le attività «tradizionali» di finanziamento di enti pubblici vengono attribuite ad una «gestione separata» della stessa Cassa; questa «gestione», però, non è dotata di una completa autonomia patrimoniale che la renda impermeabile alle pretese dei creditori delle altre attività della Cassa (quelle svolte con logiche di profitto e non pubblicistiche). Inoltre, alle fondazioni socie della Cassa viene attribuito un significativo privilegio patrimoniale, che potrebbe indurre a gestire le attività in maniera tale da massimizzare il profitto, imponendo così di selezionare gli affidamenti in funzione del merito di credito. Questo privilegio viene presidiato da un diritto di recesso statutario delle fondazioni stesse; a tale riguardo potrebbe sorgere un problema, perché i prudenti criteri di calcolo della quota di liquidazione paiono in contrasto con il nuovo diritto societario e, quindi, potrebbero essere sostituiti de jure coi più stringenti criteri del codice civile, sicché l’esercizio del recesso potrebbe rappresentare una seria minaccia per la stabilità patrimoniale della Cassa. Molto si è discusso, infine, sulla natura bancaria della Cassa s.p.a. Il decreto sancisce che alla Cassa si applichi la disciplina degli intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale di cui all’art. 107 del Testo Unico bancario. La Cassa Depositi e Prestiti, nonostante ciò, esercita oggettivamente attività bancaria. Perché allora applicarle la disciplina degli intermediari? La risposta, robabilmente, sta nei limiti che solo le banche hanno di acquistare partecipazioni industriali, limiti che non riguardano gli intermediari.
Ma cos’è diventata la Cassa Depositi e Prestiti? / Mucciarelli, Federico Maria. - In: MERCATO CONCORRENZA REGOLE. - ISSN 1590-5128. - STAMPA. - 2:(2004), pp. 355-373.
Ma cos’è diventata la Cassa Depositi e Prestiti?
MUCCIARELLI, Federico Maria
2004
Abstract
Il decreto collegato alla finanziaria per il 2004 ha trasformato la Cassa Depositi e Prestiti da ente pubblico in società per azioni. Lo Stato, in un primo momento, ha detenuto la totalità del capitale della neonata Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., per poi cederne una cospicua quota di minoranza alle fondazioni bancarie. La Cassa ha svolto sinora una funzione importantissima tra i meccanismi di raccolta del risparmio (attraverso il c.d. risparmio postale) e di finanziamento degli enti pubblici e, in particolare, degli enti locali a tassi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. Si trattava, in sostanza, di uno strumento di politiche fiscali e redistributive dello Stato, poiché la Cassa non poteva valutare il merito di credito dell’ente che richiedeva un affidamento. Potrà la Cassa svolgere la stessa funzione dopo la, sia pure formale, privatizzazione? Le attività «tradizionali» di finanziamento di enti pubblici vengono attribuite ad una «gestione separata» della stessa Cassa; questa «gestione», però, non è dotata di una completa autonomia patrimoniale che la renda impermeabile alle pretese dei creditori delle altre attività della Cassa (quelle svolte con logiche di profitto e non pubblicistiche). Inoltre, alle fondazioni socie della Cassa viene attribuito un significativo privilegio patrimoniale, che potrebbe indurre a gestire le attività in maniera tale da massimizzare il profitto, imponendo così di selezionare gli affidamenti in funzione del merito di credito. Questo privilegio viene presidiato da un diritto di recesso statutario delle fondazioni stesse; a tale riguardo potrebbe sorgere un problema, perché i prudenti criteri di calcolo della quota di liquidazione paiono in contrasto con il nuovo diritto societario e, quindi, potrebbero essere sostituiti de jure coi più stringenti criteri del codice civile, sicché l’esercizio del recesso potrebbe rappresentare una seria minaccia per la stabilità patrimoniale della Cassa. Molto si è discusso, infine, sulla natura bancaria della Cassa s.p.a. Il decreto sancisce che alla Cassa si applichi la disciplina degli intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale di cui all’art. 107 del Testo Unico bancario. La Cassa Depositi e Prestiti, nonostante ciò, esercita oggettivamente attività bancaria. Perché allora applicarle la disciplina degli intermediari? La risposta, robabilmente, sta nei limiti che solo le banche hanno di acquistare partecipazioni industriali, limiti che non riguardano gli intermediari.Pubblicazioni consigliate
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