Il tema della produzione giurisprudenziale delle norme costituzionali nella prospettiva del diritto interno impone di superare l’idea per cui le norme costituzionali costituirebbero in senso forte il prodotto dell’interpretazione delle relative disposizioni (o eventualmente l’accertamento di fonti costituzionali extra- testuali) da parte della giurisprudenza nell’àmbito della sua attività ermeneutica. La tesi qui sostenuta è che la “produzione” di norme consti, più che di un singolo atto istantaneo liberamente creativo da parte di un unico soggetto, di un processo collettivo e continuo, portato avanti da attori plurimi (legislatore, giuristi accademici, gruppi organizzati della società civile, avvocati, funzionari) nel corso del tempo. In tale contesto, la pronuncia di un singolo giudice, per quanto autorevole, non esaurisce il discorso sulla produzione di una norma costituzionale più di quanto di per sé non lo faccia una modifica legislativa o una revisione costituzionale. Il “prodotto” in questione (le “norme” costituzionali) non si riduce al significato prescrittivo di una qualsivoglia enunciazione. Le “norme” non sono semplici significati di un singolo “atto normativo”, bensì quei modelli di comportamento che la collettività (non sempre omogenea) dei giuristi – nella sua necessaria interazione pragmatica col senso comune – è disponibile ad accogliere come riferimento e ad utilizzare come base per la propria azione ausiliaria all’applicazione del diritto. Le norme costituzionali possono dirsi prodotte dalla giurisprudenza quando la relativa proposta ricostruttiva ha successo in termini di accettazione come modello di comportamento e di giudizio da parte dei giuristi nella loro azione collettiva di ausiliari dell’applicazione del diritto. Questo è ciò che avviene in molteplici casi e con differenti modalità anche per la produzione di norme costituzionali da parte delle magistrature supreme ed in particolare da parte della Corte costituzionale. Ad esempio quando essa “trasforma” il principio di eguaglianza formale in quello di ragionevolezza, “ammette” la consuetudine tra le fonti del diritto, “inventa” i principi supremi dell’ordinamento o “riconosce” nuovi diritti costituzionali. Tali operazioni presuppongono una modifica discrezionale del concetto di Costituzione di senso comune, che coincide necessariamente con la Carta costituzionale scritta del 1948 (essendo gli altri concetti di ‘costituzione’ inattingibili dal senso comune). Tale modifica, a sua volta, può essere valutata in modi diversi a seconda della sua ammissibilità giuridica, della opportunità politico-ideologica e della correttezza/sostenibilità metodologica. In quest’ultima chiave, la principale tesi qui sostenuta è che la esigenza pragmatica di avere successo nel produrre effettivamente nuove norme (e non di semplici enunciazioni) costituzionali da parte della giurisprudenza la porta discutibilmente ad affermare per scoperte “oggettive” e interpretazioni/applicazioni “necessarie” ciò che oggettivo e necessario non è. Tali innovazioni meriterebbero invece di essere apertamente discusse evidenziando vantaggi e svantaggi delle rispettive opzioni, tanto più politiche quanto più si allontanano dai contenuti più evidenti del testo costituzionale.

La produzione giurisprudenziale della norma costituzionale nell'ordinamento interno / Pedrini, F.. - In: RIVISTA AIC. - ISSN 2039-8298. - (2024), pp. 143-186.

La produzione giurisprudenziale della norma costituzionale nell'ordinamento interno

Pedrini, F.
2024

Abstract

Il tema della produzione giurisprudenziale delle norme costituzionali nella prospettiva del diritto interno impone di superare l’idea per cui le norme costituzionali costituirebbero in senso forte il prodotto dell’interpretazione delle relative disposizioni (o eventualmente l’accertamento di fonti costituzionali extra- testuali) da parte della giurisprudenza nell’àmbito della sua attività ermeneutica. La tesi qui sostenuta è che la “produzione” di norme consti, più che di un singolo atto istantaneo liberamente creativo da parte di un unico soggetto, di un processo collettivo e continuo, portato avanti da attori plurimi (legislatore, giuristi accademici, gruppi organizzati della società civile, avvocati, funzionari) nel corso del tempo. In tale contesto, la pronuncia di un singolo giudice, per quanto autorevole, non esaurisce il discorso sulla produzione di una norma costituzionale più di quanto di per sé non lo faccia una modifica legislativa o una revisione costituzionale. Il “prodotto” in questione (le “norme” costituzionali) non si riduce al significato prescrittivo di una qualsivoglia enunciazione. Le “norme” non sono semplici significati di un singolo “atto normativo”, bensì quei modelli di comportamento che la collettività (non sempre omogenea) dei giuristi – nella sua necessaria interazione pragmatica col senso comune – è disponibile ad accogliere come riferimento e ad utilizzare come base per la propria azione ausiliaria all’applicazione del diritto. Le norme costituzionali possono dirsi prodotte dalla giurisprudenza quando la relativa proposta ricostruttiva ha successo in termini di accettazione come modello di comportamento e di giudizio da parte dei giuristi nella loro azione collettiva di ausiliari dell’applicazione del diritto. Questo è ciò che avviene in molteplici casi e con differenti modalità anche per la produzione di norme costituzionali da parte delle magistrature supreme ed in particolare da parte della Corte costituzionale. Ad esempio quando essa “trasforma” il principio di eguaglianza formale in quello di ragionevolezza, “ammette” la consuetudine tra le fonti del diritto, “inventa” i principi supremi dell’ordinamento o “riconosce” nuovi diritti costituzionali. Tali operazioni presuppongono una modifica discrezionale del concetto di Costituzione di senso comune, che coincide necessariamente con la Carta costituzionale scritta del 1948 (essendo gli altri concetti di ‘costituzione’ inattingibili dal senso comune). Tale modifica, a sua volta, può essere valutata in modi diversi a seconda della sua ammissibilità giuridica, della opportunità politico-ideologica e della correttezza/sostenibilità metodologica. In quest’ultima chiave, la principale tesi qui sostenuta è che la esigenza pragmatica di avere successo nel produrre effettivamente nuove norme (e non di semplici enunciazioni) costituzionali da parte della giurisprudenza la porta discutibilmente ad affermare per scoperte “oggettive” e interpretazioni/applicazioni “necessarie” ciò che oggettivo e necessario non è. Tali innovazioni meriterebbero invece di essere apertamente discusse evidenziando vantaggi e svantaggi delle rispettive opzioni, tanto più politiche quanto più si allontanano dai contenuti più evidenti del testo costituzionale.
2024
143
186
La produzione giurisprudenziale della norma costituzionale nell'ordinamento interno / Pedrini, F.. - In: RIVISTA AIC. - ISSN 2039-8298. - (2024), pp. 143-186.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/1365337
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