L’autore analizza i tratti di evoluzione quali-quantitativa del potere di organizzazione del fattore lavoro, generati dal fenomeno della digitalizzazione. In particolare, da un punto di vista qualitativo, il potere organizzativo, fino ad oggi prerogativa della persona umana, può essere esercitato attraverso un processo di decision making realizzato dall’intelligenza artificiale. Tale circostanza può essere foriera di preoccupazioni per il giurista del lavoro (ad esempio, la dottrina ha evidenziato fin d’ora che la macchina potrebbe essere in grado di esercitare un potere induttivo sui lavoratori), ma al tempo stesso anche di implicazioni assolutamente positive (come può essere il caso della sicurezza sul lavoro, in cui troppo spesso l’evento lesivo deriva da un’azione errata o da un’omissione umane). Da un punto di vista quantitativo, invece, se si eccettuano alcune limitate situazioni particolari, può dirsi che il potere direttivo tendenzialmente si attenui, in ragione della particolare autonomia riconosciuta (e, al tempo stesso, richiesta) al lavoratore, non soltanto in ordine al “quando” e al “dove” si lavora, ma anche in riferimento al “come”. Quanto ai limiti al potere direttivo, la digitalizzazione suggerisce innanzi tutto una necessaria riparametrazione delle tutele derivanti dalla necessità di salvaguardare la libertà e la dignità della persona umana che lavora, oltre che situazioni del tutto nuove, come il diritto alla disconnessione. Altro fronte sensibile è quello del divieto delle indagini sulle opinioni e, più in generale, della tutela della riservatezza, anche in considerazione del fatto che la tecnologia consente oggi la gestione selettiva dei big data. Del tutto parallelamente, vi è il rischio di profilare i lavoratori attraverso dati personali che attengono ad un contesto extralavorativo, evenienza assai più frequente di un tempo e sicuramente facilitata dall’uso dei social network. Tale prospettiva, infine, si lega a doppio filo al divieto di discriminazione e, in particolare, ai cosiddetti algorithmic bias, ovviamente non voluti da chi ha progettato le regole di funzionamento dell’algoritmo, ma non per questo meno gravi sul piano della realizzazione di pratiche discriminatorie con potenzialità lesive sul piano del genere, dell’età, del credo religioso o dell’etnia.
Il potere di organizzazione nell'economia digitale e i suoi limiti / Levi, Alberto. - (2022), pp. 11-25.
Il potere di organizzazione nell'economia digitale e i suoi limiti.
Alberto LeviConceptualization
2022
Abstract
L’autore analizza i tratti di evoluzione quali-quantitativa del potere di organizzazione del fattore lavoro, generati dal fenomeno della digitalizzazione. In particolare, da un punto di vista qualitativo, il potere organizzativo, fino ad oggi prerogativa della persona umana, può essere esercitato attraverso un processo di decision making realizzato dall’intelligenza artificiale. Tale circostanza può essere foriera di preoccupazioni per il giurista del lavoro (ad esempio, la dottrina ha evidenziato fin d’ora che la macchina potrebbe essere in grado di esercitare un potere induttivo sui lavoratori), ma al tempo stesso anche di implicazioni assolutamente positive (come può essere il caso della sicurezza sul lavoro, in cui troppo spesso l’evento lesivo deriva da un’azione errata o da un’omissione umane). Da un punto di vista quantitativo, invece, se si eccettuano alcune limitate situazioni particolari, può dirsi che il potere direttivo tendenzialmente si attenui, in ragione della particolare autonomia riconosciuta (e, al tempo stesso, richiesta) al lavoratore, non soltanto in ordine al “quando” e al “dove” si lavora, ma anche in riferimento al “come”. Quanto ai limiti al potere direttivo, la digitalizzazione suggerisce innanzi tutto una necessaria riparametrazione delle tutele derivanti dalla necessità di salvaguardare la libertà e la dignità della persona umana che lavora, oltre che situazioni del tutto nuove, come il diritto alla disconnessione. Altro fronte sensibile è quello del divieto delle indagini sulle opinioni e, più in generale, della tutela della riservatezza, anche in considerazione del fatto che la tecnologia consente oggi la gestione selettiva dei big data. Del tutto parallelamente, vi è il rischio di profilare i lavoratori attraverso dati personali che attengono ad un contesto extralavorativo, evenienza assai più frequente di un tempo e sicuramente facilitata dall’uso dei social network. Tale prospettiva, infine, si lega a doppio filo al divieto di discriminazione e, in particolare, ai cosiddetti algorithmic bias, ovviamente non voluti da chi ha progettato le regole di funzionamento dell’algoritmo, ma non per questo meno gravi sul piano della realizzazione di pratiche discriminatorie con potenzialità lesive sul piano del genere, dell’età, del credo religioso o dell’etnia.File | Dimensione | Formato | |
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