In base al nuovo Codice della Crisi d’impresa, gli amministratori di società devono rilevare tempestivamente lo stato di “crisi” e devono senza indugio adottare uno degli strumenti previsti superarla. Queste norme pongono un pro-blema di ampia portata, legato all’applicazione della libertà di stabilimento nella UE. È noto, infatti, come la giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza Centros del 1999, abbia liberalizzato la possibilità di co-stituire società negli Stati Membri della UE, anche se esse svolgono intera-mente la propria attività in altro Stato Membro; inoltre, lo Stato ospitante de-ve riconoscere le società costituite in altro Stato Membro rispettando la lex so-cietatis del paese d’origine. Gli Stati che “ospitano” pseudo foreign corpora-tions, peraltro, hanno interesse a non sottrarre al circuito decisionale democra-tico nazionale le regole che toccano interessi locali. Di recente, perciò, la Corte di Giustizia ha affermato che i doveri degli amministratori nella fase di “crisi” riguardino le condizioni per l’apertura della procedura di insolvenza e, quindi, possano essere classificate come “diritto fallimentare”; di conseguenza, lo Stato in cui la società insolvente ha situato il centro dei propri interessi principali potrà applicare le proprie norme, anche se la società è stata costituita secondo una diversa lex societatis. Il presente lavoro, chiarisce questi aspetti riguardo ai doveri degli amministratori di società italiane in crisi, concludendo che tali doveri rientrino – anche per il diritto internazionale privato italiano – nella lex concursus e che, quindi, si applichino a società straniere insolventi, anche di Stati Membri della UE, che operino in Italia.
Doveri degli amministratori di società in crisi, lex concursus e sovranità nazionale / Mucciarelli, F. M.. - In: LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE. - ISSN 0391-3740. - 43:3(2020), pp. 698-739.
Doveri degli amministratori di società in crisi, lex concursus e sovranità nazionale
Mucciarelli F. M.
2020
Abstract
In base al nuovo Codice della Crisi d’impresa, gli amministratori di società devono rilevare tempestivamente lo stato di “crisi” e devono senza indugio adottare uno degli strumenti previsti superarla. Queste norme pongono un pro-blema di ampia portata, legato all’applicazione della libertà di stabilimento nella UE. È noto, infatti, come la giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza Centros del 1999, abbia liberalizzato la possibilità di co-stituire società negli Stati Membri della UE, anche se esse svolgono intera-mente la propria attività in altro Stato Membro; inoltre, lo Stato ospitante de-ve riconoscere le società costituite in altro Stato Membro rispettando la lex so-cietatis del paese d’origine. Gli Stati che “ospitano” pseudo foreign corpora-tions, peraltro, hanno interesse a non sottrarre al circuito decisionale democra-tico nazionale le regole che toccano interessi locali. Di recente, perciò, la Corte di Giustizia ha affermato che i doveri degli amministratori nella fase di “crisi” riguardino le condizioni per l’apertura della procedura di insolvenza e, quindi, possano essere classificate come “diritto fallimentare”; di conseguenza, lo Stato in cui la società insolvente ha situato il centro dei propri interessi principali potrà applicare le proprie norme, anche se la società è stata costituita secondo una diversa lex societatis. Il presente lavoro, chiarisce questi aspetti riguardo ai doveri degli amministratori di società italiane in crisi, concludendo che tali doveri rientrino – anche per il diritto internazionale privato italiano – nella lex concursus e che, quindi, si applichino a società straniere insolventi, anche di Stati Membri della UE, che operino in Italia.File | Dimensione | Formato | |
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