Questo capitolo mostra come la liquidazione coatta amministrativa delle Officin Reggiane nel 1952 e la successiva riapertura, fortemente ridimensionate, delle Nuove Officine Reggiane liberò un enorme patrimonio di professionalità a Reggio Emilia. Molti operai e tecnici licenziati avviarono delle attività in proprio e divennero piccoli imprenditori, mentre altri si resero disponibili per le fabbriche già esistenti. Inoltre, il disimpegno delle aziende motoristiche – Lombardini, Slanzi e Ruggerini – dai comparti a valle, creò lo spazio lo sviluppo dei comparti delle piccole macchine agricole e delle pompe. Il periodo compreso tra la metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta vide una fortissima crescita della meccanica agricole, che si affermò come il principale comparto dell’intera meccanica reggiana. La crescita del mercato sollecitò il delinearsi di una crescente specializzazione ed interdipendenza produttiva tra le imprese. Come risultato, negli anni Settanta la meccanica reggiana si configurava come un vero e proprio distretto industriale, ossia un sistema produttivo caratterizzato dalla presenza in un’area geograficamente circoscritta di un gran numero di imprese, tutte impegnate nello stesso settore produttivo. Di queste, solo alcune producevano beni finali (trattori, motocoltivatori, pompe, macchine per fienagione, elettrodomestici, e così via), mentre le altre fabbricavano parti e componenti – oleodinamici e non – o effettuavano lavorazioni meccaniche (tornitura, fresatura, carpenteria, e così via) per le prime. Così, ogni impresa era specializzata in una o in poche fasi del processo produttivo tipico del distretto. Non solo, ma sia le aziende che affidavano all’esterno queste lavorazioni sia quelle che le eseguivano in conto-terzi erano numerose. Di conseguenza, nessuna impresa disponeva di una posizione dominante ed era in grado di imporre le proprie condizioni alle altre; al contrario, tra le imprese specializzate in attività complementari vi era una forte spinta alla collaborazione. Negli anni Ottanta, la crisi della meccanica agricola innescò un profondo riaggiustamento del distretto. Alcune imprese produttrici di macchine agricole reagirono diversificandosi in comparti tecnologicamente correlati, come l’hobbistica e le attrezzature per il giardinaggio e la manutenzione del verde pubblico. Ma, soprattutto, si affermarono settori nuovi ed in rapida crescita, come l’oleodinamica e la «meccatronica», ossia quel comparto che produce beni altamente sofisticati derivanti dall’integrazione della meccanica con l’informatica e l’elettronica.
Dalla crisi delle "Reggiane" alla globalizzazione (1951-2000) / Rinaldi, Alberto. - (2020), pp. 113-144.
Dalla crisi delle "Reggiane" alla globalizzazione (1951-2000)
Rinaldi, Alberto
2020
Abstract
Questo capitolo mostra come la liquidazione coatta amministrativa delle Officin Reggiane nel 1952 e la successiva riapertura, fortemente ridimensionate, delle Nuove Officine Reggiane liberò un enorme patrimonio di professionalità a Reggio Emilia. Molti operai e tecnici licenziati avviarono delle attività in proprio e divennero piccoli imprenditori, mentre altri si resero disponibili per le fabbriche già esistenti. Inoltre, il disimpegno delle aziende motoristiche – Lombardini, Slanzi e Ruggerini – dai comparti a valle, creò lo spazio lo sviluppo dei comparti delle piccole macchine agricole e delle pompe. Il periodo compreso tra la metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta vide una fortissima crescita della meccanica agricole, che si affermò come il principale comparto dell’intera meccanica reggiana. La crescita del mercato sollecitò il delinearsi di una crescente specializzazione ed interdipendenza produttiva tra le imprese. Come risultato, negli anni Settanta la meccanica reggiana si configurava come un vero e proprio distretto industriale, ossia un sistema produttivo caratterizzato dalla presenza in un’area geograficamente circoscritta di un gran numero di imprese, tutte impegnate nello stesso settore produttivo. Di queste, solo alcune producevano beni finali (trattori, motocoltivatori, pompe, macchine per fienagione, elettrodomestici, e così via), mentre le altre fabbricavano parti e componenti – oleodinamici e non – o effettuavano lavorazioni meccaniche (tornitura, fresatura, carpenteria, e così via) per le prime. Così, ogni impresa era specializzata in una o in poche fasi del processo produttivo tipico del distretto. Non solo, ma sia le aziende che affidavano all’esterno queste lavorazioni sia quelle che le eseguivano in conto-terzi erano numerose. Di conseguenza, nessuna impresa disponeva di una posizione dominante ed era in grado di imporre le proprie condizioni alle altre; al contrario, tra le imprese specializzate in attività complementari vi era una forte spinta alla collaborazione. Negli anni Ottanta, la crisi della meccanica agricola innescò un profondo riaggiustamento del distretto. Alcune imprese produttrici di macchine agricole reagirono diversificandosi in comparti tecnologicamente correlati, come l’hobbistica e le attrezzature per il giardinaggio e la manutenzione del verde pubblico. Ma, soprattutto, si affermarono settori nuovi ed in rapida crescita, come l’oleodinamica e la «meccatronica», ossia quel comparto che produce beni altamente sofisticati derivanti dall’integrazione della meccanica con l’informatica e l’elettronica.File | Dimensione | Formato | |
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