"Le tozze colonne di marmo rosso" del Gattopardo... Che marmo non è Entrando nella chiesa Madre di Palma di Montechiaro la nostra attenzione viene immediatamente catturata dalle colonne in un sol pezzo di sfavillante marmo rosso. Le venature bianche e verdi permettono di identificare il marmo come una delle pietre ornamentali più pregiate di Sicilia: il “diaspro tenero rosso e verde” di Custonaci (Trapani). L’effetto scenografico del marmo rosso aveva sicuramente colpito l’immaginazione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tanto che egli descrisse le colonne della chiesa nel suo capolavoro “Il Gattopardo”. Tomasi ci racconta infatti che i membri della famiglia del Principe di Salina in arrivo da Palermo, “come voleva un antichissimo uso … prima di mettere il piede in casa dovevano assistere a un Tè Deum alla Chiesa Madre”, che era stipata “di gente curiosa, fra le sue tozze colonne di marmo rosso”. Un esame ravvicinato rivela però un fatto inaspettato: le colonne non sono di marmo, ma sono state realizzate in gesso. Si tratta di un pregevole esempi di imitazione della pietra naturale utilizzando la tecnica della scagliola colorata. La scagliola si produceva cuocendo il gesso naturale che affiora proprio nei pressi di Palma di Montechiaro. La pietra di gesso, che è costituita di grandi cristalli semitrasparenti (selenite), veniva cavata e cotta in fornaci preparate in loco. La cottura dei cristalli produceva una polvere bianca, la scagliola appunto, che impastata con acqua formava una pasta che induriva in poche decine di minuti. La scagliola si usava come legante più economico della calce per costruire le case e per produrre i candidi stucchi che decorano molte chiese siciliane. Per realizzare le imitazioni delle pietre ornamentali la tecnica era più complessa. Si aggiungevano pigmenti colorati all’impastato di scagliola e acqua e si preparavano panetti di diversa forma e colore che venivano accostati sapientemente per ricreare la struttura e le venature della roccia da imitare. L’agglomerato policromo di gesso veniva quindi tagliato in fette sottili che erano applicate sulle colonne costruite con mattoni sagomati. La superficie era quindi velocemente lavorata prima che l’impasto indurisse e poi lucidata con maestria per fare apparire le colonne dei monoliti di pietra naturale. Nella chiesa Madre l’effetto finale dell’illusione artistica sulle “colonne di marmo rosso” riuscì talmente bene da ingannare persino Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

La Chiesa Madre di Palma di Montechiaro, “le tozze colonne di marmo rosso” del Gattopardo... che marmo non è / Lugli, Stefano. - (2016), pp. 41-42.

La Chiesa Madre di Palma di Montechiaro, “le tozze colonne di marmo rosso” del Gattopardo... che marmo non è

Stefano Lugli
2016

Abstract

"Le tozze colonne di marmo rosso" del Gattopardo... Che marmo non è Entrando nella chiesa Madre di Palma di Montechiaro la nostra attenzione viene immediatamente catturata dalle colonne in un sol pezzo di sfavillante marmo rosso. Le venature bianche e verdi permettono di identificare il marmo come una delle pietre ornamentali più pregiate di Sicilia: il “diaspro tenero rosso e verde” di Custonaci (Trapani). L’effetto scenografico del marmo rosso aveva sicuramente colpito l’immaginazione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tanto che egli descrisse le colonne della chiesa nel suo capolavoro “Il Gattopardo”. Tomasi ci racconta infatti che i membri della famiglia del Principe di Salina in arrivo da Palermo, “come voleva un antichissimo uso … prima di mettere il piede in casa dovevano assistere a un Tè Deum alla Chiesa Madre”, che era stipata “di gente curiosa, fra le sue tozze colonne di marmo rosso”. Un esame ravvicinato rivela però un fatto inaspettato: le colonne non sono di marmo, ma sono state realizzate in gesso. Si tratta di un pregevole esempi di imitazione della pietra naturale utilizzando la tecnica della scagliola colorata. La scagliola si produceva cuocendo il gesso naturale che affiora proprio nei pressi di Palma di Montechiaro. La pietra di gesso, che è costituita di grandi cristalli semitrasparenti (selenite), veniva cavata e cotta in fornaci preparate in loco. La cottura dei cristalli produceva una polvere bianca, la scagliola appunto, che impastata con acqua formava una pasta che induriva in poche decine di minuti. La scagliola si usava come legante più economico della calce per costruire le case e per produrre i candidi stucchi che decorano molte chiese siciliane. Per realizzare le imitazioni delle pietre ornamentali la tecnica era più complessa. Si aggiungevano pigmenti colorati all’impastato di scagliola e acqua e si preparavano panetti di diversa forma e colore che venivano accostati sapientemente per ricreare la struttura e le venature della roccia da imitare. L’agglomerato policromo di gesso veniva quindi tagliato in fette sottili che erano applicate sulle colonne costruite con mattoni sagomati. La superficie era quindi velocemente lavorata prima che l’impasto indurisse e poi lucidata con maestria per fare apparire le colonne dei monoliti di pietra naturale. Nella chiesa Madre l’effetto finale dell’illusione artistica sulle “colonne di marmo rosso” riuscì talmente bene da ingannare persino Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
2016
Il patrimonio ritrovato. Percorsi di legalità nella Terra del Gattopardo
Domenica Gulli
9788861644397
Regione Siciliana
La Chiesa Madre di Palma di Montechiaro, “le tozze colonne di marmo rosso” del Gattopardo... che marmo non è / Lugli, Stefano. - (2016), pp. 41-42.
Lugli, Stefano
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/1199031
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