Nel luglio 1960 la Conferenza Episcopale Italiana diffondeva in tutte le diocesi il testo di una lettera collettiva riguardante il problema del laicismo. Sotto quell’etichetta si nascondeva l’ultima filiazione di una catena di eventi che, secondo uno schema ben noto, andava dalla Riforma protestante all’ateismo comunista, passando per le rivoluzioni politiche e culturali dell’età contemporanea. Il testo, che mostra come all’alba del Concilio l’episcopato italiano restasse ancora legato alle battaglie dei decenni precedenti, era stato il banco su cui si erano misurati i diversi orientamenti presenti in seno alla CEI. Dopo una prima commissione della lettera a mons. Pietro Pavan, la stesura venne infatti affidata al vescovo di Modena Giuseppe Amici. Questi utilizzò come bozza una precedente pastorale da lui redatta per la Quaresima del 1958 che rispecchiava perfettamente l’impostazione tradizionale della questione, in uno scontro senza appelli con la modernità. Scartato dunque il testo di Pavan, considerato ingiustamente critico nei confronti del clero ed eccessivamente avanzato in tema di laicità, la scelta della Conferenza cadde su un documento che, nemmeno troppo copertamente, mirava a tacitare le posizioni più progressiste interne alla CEI e i tentativi di “apertura a sinistra” promossi in campo politico da alcuni settori della Democrazia Cristiana.
“Questa eresia odierna che si chiama laicismo”. La lettera collettiva dell’episcopato italiano al clero (25 marzo 1960) / AL KALAK, Matteo. - In: RIVISTA DI STORIA DEL CRISTIANESIMO. - ISSN 1827-7365. - 7:(2010), pp. 509-531.
“Questa eresia odierna che si chiama laicismo”. La lettera collettiva dell’episcopato italiano al clero (25 marzo 1960)
AL KALAK, MATTEO
2010
Abstract
Nel luglio 1960 la Conferenza Episcopale Italiana diffondeva in tutte le diocesi il testo di una lettera collettiva riguardante il problema del laicismo. Sotto quell’etichetta si nascondeva l’ultima filiazione di una catena di eventi che, secondo uno schema ben noto, andava dalla Riforma protestante all’ateismo comunista, passando per le rivoluzioni politiche e culturali dell’età contemporanea. Il testo, che mostra come all’alba del Concilio l’episcopato italiano restasse ancora legato alle battaglie dei decenni precedenti, era stato il banco su cui si erano misurati i diversi orientamenti presenti in seno alla CEI. Dopo una prima commissione della lettera a mons. Pietro Pavan, la stesura venne infatti affidata al vescovo di Modena Giuseppe Amici. Questi utilizzò come bozza una precedente pastorale da lui redatta per la Quaresima del 1958 che rispecchiava perfettamente l’impostazione tradizionale della questione, in uno scontro senza appelli con la modernità. Scartato dunque il testo di Pavan, considerato ingiustamente critico nei confronti del clero ed eccessivamente avanzato in tema di laicità, la scelta della Conferenza cadde su un documento che, nemmeno troppo copertamente, mirava a tacitare le posizioni più progressiste interne alla CEI e i tentativi di “apertura a sinistra” promossi in campo politico da alcuni settori della Democrazia Cristiana.File | Dimensione | Formato | |
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