Nello scrivere, di recente, «per il lavoro», Carlo Galli si era richiamato alle radici della parola: «il lavoro è tornato ad essere quello che etimologicamente è: labor, la pena, la fatica, la dimensione in cui si espia qualche cosa». Sul punto ritornano Carla Ponterio e Rita Sanlorenzo in E lo chiamano lavoro…, cogliendone occasione semantica per sottolineare che così «si espia la colpa di esser poveri, poco istruiti, o anche troppo, vista la difficoltà di inserimento dei laureati» nel mondo degradato del lavoro di oggi. Queste parole ripropongono un’intuizione di Péguy, all’inizio del secolo scorso, in cui il grande socialista transalpino accusava la borghesia capitalistica europea e, più in generale, l’industrialismo moderno, di avere infettato il popolo, facendo passare l’idea che la povertà sia una colpa di chi la soffre e che con il denaro, non già con il lavoro, si misuri la dignità dell’essere dell’uomo. Poco meno di un secolo prima ne aveva detto sarcasticamente Leopardi: «le virtù e i buoni costumi non possono stare in piedi senza il fondamento dell’industria […] Intanto, in compagnia dell’industria, la bassezza dell’animo, la freddezza, l’egoismo, l’avarizia, la falsità e la perfidia mercantile, tutte le qualità e le passioni più depravatrici e più indegne dell’uomo incivilito, sono in vigore, e si moltiplicano senza fine; ma le virtù si aspettano».

Leopardi, la compagnia dell'industria e la scomparsa del pubblico / Jasonni, Massimo. - In: IL PONTE. - ISSN 0032-423X. - STAMPA. - 1:(2015), pp. 41-43.

Leopardi, la compagnia dell'industria e la scomparsa del pubblico

JASONNI, Massimo
2015

Abstract

Nello scrivere, di recente, «per il lavoro», Carlo Galli si era richiamato alle radici della parola: «il lavoro è tornato ad essere quello che etimologicamente è: labor, la pena, la fatica, la dimensione in cui si espia qualche cosa». Sul punto ritornano Carla Ponterio e Rita Sanlorenzo in E lo chiamano lavoro…, cogliendone occasione semantica per sottolineare che così «si espia la colpa di esser poveri, poco istruiti, o anche troppo, vista la difficoltà di inserimento dei laureati» nel mondo degradato del lavoro di oggi. Queste parole ripropongono un’intuizione di Péguy, all’inizio del secolo scorso, in cui il grande socialista transalpino accusava la borghesia capitalistica europea e, più in generale, l’industrialismo moderno, di avere infettato il popolo, facendo passare l’idea che la povertà sia una colpa di chi la soffre e che con il denaro, non già con il lavoro, si misuri la dignità dell’essere dell’uomo. Poco meno di un secolo prima ne aveva detto sarcasticamente Leopardi: «le virtù e i buoni costumi non possono stare in piedi senza il fondamento dell’industria […] Intanto, in compagnia dell’industria, la bassezza dell’animo, la freddezza, l’egoismo, l’avarizia, la falsità e la perfidia mercantile, tutte le qualità e le passioni più depravatrici e più indegne dell’uomo incivilito, sono in vigore, e si moltiplicano senza fine; ma le virtù si aspettano».
2015
1
41
43
Leopardi, la compagnia dell'industria e la scomparsa del pubblico / Jasonni, Massimo. - In: IL PONTE. - ISSN 0032-423X. - STAMPA. - 1:(2015), pp. 41-43.
Jasonni, Massimo
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