L'unificazione italiana ha posto il quesito urgente di capire se un sistema uniforme di giustizia penale doveva mantenere o meno la pena di morte. L'ostacolo principale per l'unificazione del diritto fu rappresentato dalla tradizione toscana, che dalla Riforma Penale di Pietro Leopoldo (1786) vantava una sostanziale continuità nel rifiuto o nella non applicazione della pena massima; al contrario, il codice penale piemontese, che si intendeva estendere al resto del Regno, prevedeva la pena di morte per una dozzina di casi. Si aprì in tal modo una stagione di intenso dibattito, che investì direttamente gli intellettuali, gli avvocati (e tra questi, quelli che occupavano una carica politica), ma che coinvolse anche il pubblico attraverso la diffusione di tematiche abolizioniste in giornali, riviste, incontri e riunioni. In particolare, la scienza giuridica, spesso ricorrendo a Cesare Beccaria, si dimostrò quasi interamente a favore dell'abolizione: tra i nomi più famosi ricordiamo Francesco Carrara, Pietro Ellero, Enrico Pessina e Luigi Lucchini. Al contrario, la dialettica parlamentare, nonostante la lotta ingaggiata da Pasquale Stanislao Mancini, vide scontrarsi diverse posizioni per diversi anni, di fatto bloccando l'approvazione di un codice penale uniforme. Solo nel 1889, sotto gli auspici del ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli, potè raggiungersi la promulgazione di un codice in cui finalmente fu bandita la pena di morte.
Le disciples de Beccaria: le débat abolitionniste dans l'Italie post-unitaire / Tavilla, Carmelo Elio. - In: BECCARIA. - ISSN 2297-3311. - STAMPA. - 1(2015), pp. 245-255.
Le disciples de Beccaria: le débat abolitionniste dans l'Italie post-unitaire
TAVILLA, Carmelo Elio
2015
Abstract
L'unificazione italiana ha posto il quesito urgente di capire se un sistema uniforme di giustizia penale doveva mantenere o meno la pena di morte. L'ostacolo principale per l'unificazione del diritto fu rappresentato dalla tradizione toscana, che dalla Riforma Penale di Pietro Leopoldo (1786) vantava una sostanziale continuità nel rifiuto o nella non applicazione della pena massima; al contrario, il codice penale piemontese, che si intendeva estendere al resto del Regno, prevedeva la pena di morte per una dozzina di casi. Si aprì in tal modo una stagione di intenso dibattito, che investì direttamente gli intellettuali, gli avvocati (e tra questi, quelli che occupavano una carica politica), ma che coinvolse anche il pubblico attraverso la diffusione di tematiche abolizioniste in giornali, riviste, incontri e riunioni. In particolare, la scienza giuridica, spesso ricorrendo a Cesare Beccaria, si dimostrò quasi interamente a favore dell'abolizione: tra i nomi più famosi ricordiamo Francesco Carrara, Pietro Ellero, Enrico Pessina e Luigi Lucchini. Al contrario, la dialettica parlamentare, nonostante la lotta ingaggiata da Pasquale Stanislao Mancini, vide scontrarsi diverse posizioni per diversi anni, di fatto bloccando l'approvazione di un codice penale uniforme. Solo nel 1889, sotto gli auspici del ministro della Giustizia Giuseppe Zanardelli, potè raggiungersi la promulgazione di un codice in cui finalmente fu bandita la pena di morte.File | Dimensione | Formato | |
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