L’Archeobiometria applicata ai reperti di semi/frutti nei siti archeologici ha note applicazioni storiche riguardanti i più importanti taxa di erbacee (cereali e legumi) e di legnose coltivate (vite e olivo), ai fini del riconoscimento specifico (o sottospecifico) e ai fini di percorrere le strade della domesticazione di queste importanti piante alimentari (es. Renfrew, 1968). Tali indagini sono ancora di attualità con vari affinamenti e l’uso di più moderne tecniche, che accostano spesso alle indagini biometriche quelle di genetica antica (es. Terral et al, 2004). Più recentemente, già negli anni ’80-90, l’Archeobiometria si è allargata a fruttiferi, in particolare Prunoideae (es. Pollmann et al., 2005; Depypere et al, 2007), e ad altre specie legnose ed erbacee del Nuovo e Nuovissimo Mondo (es. Lepofsky et al., 1998). Ancora più recentemente si assiste ad una convergenza di interessi e di metodi fra discipline apparentemente diverse, in realtà con numerosi punti di contatto. Infatti sul lato agronomico si è sviluppato il tema, attraverso analisi morfobiometriche e genetiche, della caratterizzazione degli ecotipi colturali a varia ampiezza geografica, per la ricerca di quelli dimenticati e per la valorizzazione delle antiche risorse vegetali che possono costituire un punto di forza per l’identità geo-colturale e per l’ecoturismo eno-gastronomico (es. Paris & Nerson, 2003; Laghetti & Hammer, 2007; Cox & Van der Veen, 2008). Da qui solo un passo porta all’archeobiometria dei reperti di piante coltivate/coltivabili soprattutto in periodo storico, dal Romano al Rinascimento/ inizio Evo Moderno, principalmente quando le parti conservabili sono importanti anche nella tipizzazione delle forme attuali (nell’ambito europeo, ma non solo, ne sono esempi gli endocarpi di Prunoidee, Olea e Cornus, i semi di Vitis, di Cucurbitacee, i semi/frutti di specie aromatico/condimentarie, ecc.). Lo scopo non è solo la caratterizzazione dei documenti di ecotipi colturali del passato, ma la ricerca del possibile tratto di unione fra archeoreperti e attuale. In ogni caso, le applicazioni nel settore carpologico della archeobiometria possono fornire svariate informazioni: dalla più scontata (ma non sempre facile) distinzione fra forma selvatica e forma coltivata, alla documentazione dell’avvenuto processo di domesticazione in particolare delle meno studiate “specie marginali”, alla progressione in senso cronologico di una stessa specie verso forme colturali “migliori” e/o “più uniformi” (Sadras, 2007), perfino per segnalare quel “luxury food” che sottolinea l’alto stato sociale dei fruitori. I limiti di questo tipo di ricerche sono, oggi come un tempo, da ricercare nello stato di conservazione dei reperti e nella disponibilità di un campione statisticamente valido: applicazioni di tipo biometrico in assenza di tali requisiti, se non in casi particolari, sono poco significative e, talora, possibile fonte di errore.
Analisi archeobiometriche e reperti carpologici: scopi e prospettive / Mazzanti, Marta; Bosi, Giovanna; Mercuri, Anna Maria; Torri, Paola. - STAMPA. - \:(2012), pp. 33-33. (Intervento presentato al convegno Programma e VII Congresso Nazionale di Archeometria A.I.Ar. tenutosi a Modena nel 22-24 Febbraio 2012).
Analisi archeobiometriche e reperti carpologici: scopi e prospettive
MAZZANTI, Marta;BOSI, Giovanna;MERCURI, Anna Maria;TORRI, Paola
2012
Abstract
L’Archeobiometria applicata ai reperti di semi/frutti nei siti archeologici ha note applicazioni storiche riguardanti i più importanti taxa di erbacee (cereali e legumi) e di legnose coltivate (vite e olivo), ai fini del riconoscimento specifico (o sottospecifico) e ai fini di percorrere le strade della domesticazione di queste importanti piante alimentari (es. Renfrew, 1968). Tali indagini sono ancora di attualità con vari affinamenti e l’uso di più moderne tecniche, che accostano spesso alle indagini biometriche quelle di genetica antica (es. Terral et al, 2004). Più recentemente, già negli anni ’80-90, l’Archeobiometria si è allargata a fruttiferi, in particolare Prunoideae (es. Pollmann et al., 2005; Depypere et al, 2007), e ad altre specie legnose ed erbacee del Nuovo e Nuovissimo Mondo (es. Lepofsky et al., 1998). Ancora più recentemente si assiste ad una convergenza di interessi e di metodi fra discipline apparentemente diverse, in realtà con numerosi punti di contatto. Infatti sul lato agronomico si è sviluppato il tema, attraverso analisi morfobiometriche e genetiche, della caratterizzazione degli ecotipi colturali a varia ampiezza geografica, per la ricerca di quelli dimenticati e per la valorizzazione delle antiche risorse vegetali che possono costituire un punto di forza per l’identità geo-colturale e per l’ecoturismo eno-gastronomico (es. Paris & Nerson, 2003; Laghetti & Hammer, 2007; Cox & Van der Veen, 2008). Da qui solo un passo porta all’archeobiometria dei reperti di piante coltivate/coltivabili soprattutto in periodo storico, dal Romano al Rinascimento/ inizio Evo Moderno, principalmente quando le parti conservabili sono importanti anche nella tipizzazione delle forme attuali (nell’ambito europeo, ma non solo, ne sono esempi gli endocarpi di Prunoidee, Olea e Cornus, i semi di Vitis, di Cucurbitacee, i semi/frutti di specie aromatico/condimentarie, ecc.). Lo scopo non è solo la caratterizzazione dei documenti di ecotipi colturali del passato, ma la ricerca del possibile tratto di unione fra archeoreperti e attuale. In ogni caso, le applicazioni nel settore carpologico della archeobiometria possono fornire svariate informazioni: dalla più scontata (ma non sempre facile) distinzione fra forma selvatica e forma coltivata, alla documentazione dell’avvenuto processo di domesticazione in particolare delle meno studiate “specie marginali”, alla progressione in senso cronologico di una stessa specie verso forme colturali “migliori” e/o “più uniformi” (Sadras, 2007), perfino per segnalare quel “luxury food” che sottolinea l’alto stato sociale dei fruitori. I limiti di questo tipo di ricerche sono, oggi come un tempo, da ricercare nello stato di conservazione dei reperti e nella disponibilità di un campione statisticamente valido: applicazioni di tipo biometrico in assenza di tali requisiti, se non in casi particolari, sono poco significative e, talora, possibile fonte di errore.Pubblicazioni consigliate
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