La ricostruzione della movimentata storia di "Dignitatis humanae" - il documento del concilio Vaticano II - porta alla luce un "sottosuolo" in cui parole e linguaggi non possono essere pienamente compresi se dissociati dai retroterra, psicologici e culturali, dei protagonisti individuali e collettivi. La stessa decisione di mettere sull'agenda conciliare la spinosa questione della libertà religiosa, su cui si appuntano le aspettative di molti all'interno come all'esterno della chiesa, si radica nell'appello di papa Giovanni XXIII a cogliere i "segni dei tempi" come mezzo proprio dell'"aggiornamento" della chiesa. Requisito fondamentale per la prosecuzione del rapporto di fiducia instaurato dagli ambienti ecumenici cattolici con il Consiglio ecumenico delle chiese, il tema venne così affidato al segretariato per l'unità dei cristiani del card. Bea. Sull'orizzonte delle più tradizionali argomentazioni sui diritti e doveri della coscienza si affacciano simultaneamente i problemi della collaborazione intracristiana, della libertà all'interno della chiesa, della intangibilità della coscienza religiosa come principio essenziale dell'ordinamento civile e internazionale, la questione, infine, dei rapporti fra chiesa e stato. Approdato tardi alla discussione nell'aula conciliare, lo schema subisce un progressivo filtraggio, che sposta sempre più il baricentro del documento dal terreno ecumenico a quello più definito delle relazioni chiesa-stato, delle libertà civili, dei diritti intersoggettivi. Nell'autunno del 1964 il dibattito assembleare rischia di incagliarsi definitivamente nelle secche delle tradizionali controversie sui diritti della verità e della coscienza: il rifiuto della modernità e l'acerba riflessione teologica arrestano l'avviata maturazione sinodale alla soglia del riconoscimento di un diritto all'immunità - sia dalla coercizione sia dalla restrizione - in materia religiosa da parte dei pubblici poteri; tuttavia i nodi nevralgici del rispetto dovuto alla coscienza individuale, del valore della libertà nell'orizzonte religioso, della sua componibilità con il valore normativo della verità rivelata, enunciati in quelal discussione, rimangono aperti, per chi allora deve decidere: prima che oggetto di dibattito o di un documento, la "libertà" è dunque un'esperienza fondamentale nel vissuto di quanti hanno contribuito a fare del Vaticano II ciò che effettivamente è stato, toccando per questo le fibre più profonde del cattolicesimo.
** La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa del Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2003, 600 pp / Scatena, Silvia. - STAMPA. - 1:(2003), pp. 1-600.
** La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa del Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2003, 600 pp.
SCATENA, Silvia
2003
Abstract
La ricostruzione della movimentata storia di "Dignitatis humanae" - il documento del concilio Vaticano II - porta alla luce un "sottosuolo" in cui parole e linguaggi non possono essere pienamente compresi se dissociati dai retroterra, psicologici e culturali, dei protagonisti individuali e collettivi. La stessa decisione di mettere sull'agenda conciliare la spinosa questione della libertà religiosa, su cui si appuntano le aspettative di molti all'interno come all'esterno della chiesa, si radica nell'appello di papa Giovanni XXIII a cogliere i "segni dei tempi" come mezzo proprio dell'"aggiornamento" della chiesa. Requisito fondamentale per la prosecuzione del rapporto di fiducia instaurato dagli ambienti ecumenici cattolici con il Consiglio ecumenico delle chiese, il tema venne così affidato al segretariato per l'unità dei cristiani del card. Bea. Sull'orizzonte delle più tradizionali argomentazioni sui diritti e doveri della coscienza si affacciano simultaneamente i problemi della collaborazione intracristiana, della libertà all'interno della chiesa, della intangibilità della coscienza religiosa come principio essenziale dell'ordinamento civile e internazionale, la questione, infine, dei rapporti fra chiesa e stato. Approdato tardi alla discussione nell'aula conciliare, lo schema subisce un progressivo filtraggio, che sposta sempre più il baricentro del documento dal terreno ecumenico a quello più definito delle relazioni chiesa-stato, delle libertà civili, dei diritti intersoggettivi. Nell'autunno del 1964 il dibattito assembleare rischia di incagliarsi definitivamente nelle secche delle tradizionali controversie sui diritti della verità e della coscienza: il rifiuto della modernità e l'acerba riflessione teologica arrestano l'avviata maturazione sinodale alla soglia del riconoscimento di un diritto all'immunità - sia dalla coercizione sia dalla restrizione - in materia religiosa da parte dei pubblici poteri; tuttavia i nodi nevralgici del rispetto dovuto alla coscienza individuale, del valore della libertà nell'orizzonte religioso, della sua componibilità con il valore normativo della verità rivelata, enunciati in quelal discussione, rimangono aperti, per chi allora deve decidere: prima che oggetto di dibattito o di un documento, la "libertà" è dunque un'esperienza fondamentale nel vissuto di quanti hanno contribuito a fare del Vaticano II ciò che effettivamente è stato, toccando per questo le fibre più profonde del cattolicesimo.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
LA FATICA DELLA LIBERTA'.pdf
Accesso riservato
Tipologia:
Versione pubblicata dall'editore
Dimensione
11.06 MB
Formato
Adobe PDF
|
11.06 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
Pubblicazioni consigliate
I metadati presenti in IRIS UNIMORE sono rilasciati con licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal, mentre i file delle pubblicazioni sono rilasciati con licenza Attribuzione 4.0 Internazionale (CC BY 4.0), salvo diversa indicazione.
In caso di violazione di copyright, contattare Supporto Iris