Anzitutto un’analisi del titolo, che contiene vocaboli assai familiari per gli studi agrari, e spesso abbinati nella denominazione dei corsi di laurea: scienza e tecnologia.Scienza (definizione del Melzi linguistico): complesso ordinato di cognizioni intorno a un comune soggetto, razionalmente accertate e dipendenti da principi inconcussi.Scienza (definizione del Melzi scientifico): costruzione spirituale, che tende ad organizzare razionalmente il complesso dei fenomeni, ossia a stabilire le leggi dell’esperienza; a differenza della filosofia (cui è riservata una valutazione universale della realtà) si dirama in numerose branche.Vista da ogni lato, quindi, la scienza è anzitutto certezza e razionalità: e la tecnologia? Una comparazione analoga, basata sulla medesima fonte, risulta impossibile, trovandosi soltanto la definizione linguistica di tecnologia: studio dell’applicazione delle scienze alle arti e ai mestieri. Non è certamente un caso: la tecnologia nasce dalla scienza e perde significato senza di essa. Leonardo da Vinci usava dire: “Quelli che s’innamorano di pratica senza scienza sono come il nocchiero che entra in Naviglio senza timone e bussola, che mai ha la certezza dove si vada”. Scienza e tecnologia, insieme, costituiscono il pane dello studioso, del ricercatore, del didatta e del discente, nell’agroalimentare come in altri settori. Ciò che viene da chiedersi è se risultano altrettanto fondamentali, con riferimento al campo agroalimentare, per il consumatore, o se l’opinione pubblica non percepisca come più importanti la cultura e la tradizione.Arriviamo ai giorni nostri: se negli anni ’50 la qualità era considerata un lusso, nei decenni successivi si è puntato prima alla qualità organolettica (requisiti sensoriali quali gusto, aroma, etc..) poi a quella nutrizionale; negli anni ’80 il parametro da massimizzare era la sicurezza e dagli anni ’90 la garanzia complessiva di sicurezza e di qualità (qualità totale) è diventato lo slogan dominante.Il recente scenario è inoltre diversificato: da un lato la qualità è rappresentata dal mantenimento di requisiti costanti e riconoscibili (tradizione, prodotti tipici), dall’altro il concetto di qualità viene arricchito dalle opportunità salutistiche offerte dall’innovazione scientifica e tecnologica (ad esempio, alimenti funzionali).L’assetto vincente dovrebbe essere quello di una forte integrazione organizzativa e gestionale di tutte le componenti territoriali. La ricerca, in questo, deve esercitare un ruolo prioritario, e l’Università non può che avere un compito di primissimo piano.
La cultura agroalimentare tra scienza e tecnologia / Scipioni, Rosanna. - ELETTRONICO. - (2005), pp. http://www.agraria.unimore.it-http://www.agraria.unimore.it.
La cultura agroalimentare tra scienza e tecnologia
SCIPIONI, Rosanna
2005
Abstract
Anzitutto un’analisi del titolo, che contiene vocaboli assai familiari per gli studi agrari, e spesso abbinati nella denominazione dei corsi di laurea: scienza e tecnologia.Scienza (definizione del Melzi linguistico): complesso ordinato di cognizioni intorno a un comune soggetto, razionalmente accertate e dipendenti da principi inconcussi.Scienza (definizione del Melzi scientifico): costruzione spirituale, che tende ad organizzare razionalmente il complesso dei fenomeni, ossia a stabilire le leggi dell’esperienza; a differenza della filosofia (cui è riservata una valutazione universale della realtà) si dirama in numerose branche.Vista da ogni lato, quindi, la scienza è anzitutto certezza e razionalità: e la tecnologia? Una comparazione analoga, basata sulla medesima fonte, risulta impossibile, trovandosi soltanto la definizione linguistica di tecnologia: studio dell’applicazione delle scienze alle arti e ai mestieri. Non è certamente un caso: la tecnologia nasce dalla scienza e perde significato senza di essa. Leonardo da Vinci usava dire: “Quelli che s’innamorano di pratica senza scienza sono come il nocchiero che entra in Naviglio senza timone e bussola, che mai ha la certezza dove si vada”. Scienza e tecnologia, insieme, costituiscono il pane dello studioso, del ricercatore, del didatta e del discente, nell’agroalimentare come in altri settori. Ciò che viene da chiedersi è se risultano altrettanto fondamentali, con riferimento al campo agroalimentare, per il consumatore, o se l’opinione pubblica non percepisca come più importanti la cultura e la tradizione.Arriviamo ai giorni nostri: se negli anni ’50 la qualità era considerata un lusso, nei decenni successivi si è puntato prima alla qualità organolettica (requisiti sensoriali quali gusto, aroma, etc..) poi a quella nutrizionale; negli anni ’80 il parametro da massimizzare era la sicurezza e dagli anni ’90 la garanzia complessiva di sicurezza e di qualità (qualità totale) è diventato lo slogan dominante.Il recente scenario è inoltre diversificato: da un lato la qualità è rappresentata dal mantenimento di requisiti costanti e riconoscibili (tradizione, prodotti tipici), dall’altro il concetto di qualità viene arricchito dalle opportunità salutistiche offerte dall’innovazione scientifica e tecnologica (ad esempio, alimenti funzionali).L’assetto vincente dovrebbe essere quello di una forte integrazione organizzativa e gestionale di tutte le componenti territoriali. La ricerca, in questo, deve esercitare un ruolo prioritario, e l’Università non può che avere un compito di primissimo piano.Pubblicazioni consigliate
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