La monografia analizza numerosi aspetti - la vita materiale, le attività culturali, le occupazioni svolte - dell'esilio italiano dei gesuiti spagnoli espulsi (1767-1798). A seguito del bando comminato nell’aprile 1767 da Carlo III, i componenti dell’Assistenza spagnola della Compagnia di Gesù (circa cinquemila religiosi) vennero deportati nello Stato della Chiesa; qui furono smistati dalle autorità pontificie nelle principali città delle legazioni emiliano-romagnole (Bologna, Ferrara, Cesena, Ravenna, Forlì, ecc.), delle Marche e dell’Umbria. Nel primo capitolo si ricostruiscono le vicende successive all’espulsione in base ad una prospettiva eminentemente economica: dopo aver illustrato le strategie pratiche di sopravvivenza, in base alle quali l’Assistenza spagnola in esilio tentò di ripensare una propria identità e una struttura amministrativa efficiente, viene affrontato il nodo della pensione vitalizia erogata dal governo spagnolo ai religiosi esiliati; l’esistenza di una tendenza inflattiva finì per impoverire gradualmente l’intera comunità gesuitica spagnola, in particolare coloro che non erano riusciti ad integrare il proprio “bilancio domestico” con altre fonti di reddito. Nel corso del secondo capitolo si fornisce un quadro preliminare del processo di graduale integrazione degli espulsi nella struttura economico-sociale dell’Italia del centro-nord, seguendo cioè le vicende di decine di gesuiti, nel tentativo di isolare alcune tendenze rappresentative di fenomeni generali. Tra di esse spicca la tendenza di numerosi ex gesuiti di legarsi alle famiglie aristocratiche dell'Emilia-Romagna, presso le cui residenze svolgevano una vasta gamma di ruoli (in particolare quello di precettore). Il terzo capitolo analizza le strategie culturali dei gesuiti spagnoli nei confronti dei Lumi. Da un punto di vista culturale - e quindi ideologico e politico - anche nell’ex Assistenza spagnola in esilio, come in altre comunità nazionali del disciolto ordine, si distinsero con chiarezza due linee di pensiero: un primo settore continuò a rimanere fedele alla tradizione di studi controriformistica, rifiutando qualsiasi contatto con la “moderna filosofia” e perseguendo un evidente impegno polemico in difesa della Santa Sede; un secondo gruppo cercò invece di sviluppare un dialogo attivo con i ceti riformatori italiani e la cultura illuministica europea, nel tentativo di depotenziare la carica eversiva dei Lumi e delle riforme ad essi riconducibili. Entrambi questi sviluppi sono coerenti con la tradizione di studi gesuitica, in quanto specchio fedele delle due anime - quella polemica/controversistica e quella missionaria/sincretica - che avevano reso grande la Compagnia e i suoi intellettuali. Nel quarto capitolo si pongono due questioni strettamente connesse. Partendo dall’analisi della vulgata negativa che da secoli gravava sulla storia spagnola - la cosiddetta leyenda negra - inopinatamente rivitalizzata dai philosophes francesi e scozzesi (oltre che dai letterati italiani), si illustrano le ragioni che resero interessante agli occhi del governo di Carlo III (a cominciare dal segretario di Stato José Moñino, conte di Floridablanca) le potenzialità propagandistiche degli espulsi. A cominciare dalle fine degli anni Settanta, infatti, il governo spagnolo sfruttò la graduale svalutazione della pensione vitalizia per orientare a distanza le pubblicazioni degli espulsi; da allora la pensione vitalizia si trasformò, per scelta politica, da strumento di disciplinamento a mezzo attraverso il quale instaurare un nuovo rapporto con gli espulsi in esilio: il governo spagnolo, per stessa esplicita ammissione dei diplomatici borbonici, avrebbe premiato con gratifiche economiche suppletive quei religiosi che si fossero impegnati a difendere l’“onore nazionale” screditato dagli stranieri nelle loro opere. L’esasperato patriottismo di cui tanti gesuiti dettero allora mostra nelle loro opere a stampa non deve essere considerato esclusivamente un’anticipazione dei nazionalismi romantici ottocenteschi, quanto una reazione “indotta” dal governo spagnolo, in funzione di una ben precisa campagna di stampa di tipo propagandistico. Nello stesso tempo si esamina il lento processo di ricostruzione di un rapporto proficuo e collaborativo tra i gesuiti esiliati e l’intellighenzia iberica legata al potere centrale e alle tradizioni culturali “locali” delle tante Spagne. Il lavoro si conclude con l’analisi delle contraddizioni del riavvicinamento tra governo ed espulsi, dovuto essenzialmente a ragioni opportunistiche, partendo da alcune vicende significative che videro come sfortunati protagonisti vari ignaziani di ogni Provincia.
L’esilio italiano dei gesuiti spagnoli. Identità, controllo sociale e pratiche culturali (1767-1798) / Guasti, N.. - (2006), pp. VII-XVI + 1-561.
L’esilio italiano dei gesuiti spagnoli. Identità, controllo sociale e pratiche culturali (1767-1798)
N. GUASTI
2006
Abstract
La monografia analizza numerosi aspetti - la vita materiale, le attività culturali, le occupazioni svolte - dell'esilio italiano dei gesuiti spagnoli espulsi (1767-1798). A seguito del bando comminato nell’aprile 1767 da Carlo III, i componenti dell’Assistenza spagnola della Compagnia di Gesù (circa cinquemila religiosi) vennero deportati nello Stato della Chiesa; qui furono smistati dalle autorità pontificie nelle principali città delle legazioni emiliano-romagnole (Bologna, Ferrara, Cesena, Ravenna, Forlì, ecc.), delle Marche e dell’Umbria. Nel primo capitolo si ricostruiscono le vicende successive all’espulsione in base ad una prospettiva eminentemente economica: dopo aver illustrato le strategie pratiche di sopravvivenza, in base alle quali l’Assistenza spagnola in esilio tentò di ripensare una propria identità e una struttura amministrativa efficiente, viene affrontato il nodo della pensione vitalizia erogata dal governo spagnolo ai religiosi esiliati; l’esistenza di una tendenza inflattiva finì per impoverire gradualmente l’intera comunità gesuitica spagnola, in particolare coloro che non erano riusciti ad integrare il proprio “bilancio domestico” con altre fonti di reddito. Nel corso del secondo capitolo si fornisce un quadro preliminare del processo di graduale integrazione degli espulsi nella struttura economico-sociale dell’Italia del centro-nord, seguendo cioè le vicende di decine di gesuiti, nel tentativo di isolare alcune tendenze rappresentative di fenomeni generali. Tra di esse spicca la tendenza di numerosi ex gesuiti di legarsi alle famiglie aristocratiche dell'Emilia-Romagna, presso le cui residenze svolgevano una vasta gamma di ruoli (in particolare quello di precettore). Il terzo capitolo analizza le strategie culturali dei gesuiti spagnoli nei confronti dei Lumi. Da un punto di vista culturale - e quindi ideologico e politico - anche nell’ex Assistenza spagnola in esilio, come in altre comunità nazionali del disciolto ordine, si distinsero con chiarezza due linee di pensiero: un primo settore continuò a rimanere fedele alla tradizione di studi controriformistica, rifiutando qualsiasi contatto con la “moderna filosofia” e perseguendo un evidente impegno polemico in difesa della Santa Sede; un secondo gruppo cercò invece di sviluppare un dialogo attivo con i ceti riformatori italiani e la cultura illuministica europea, nel tentativo di depotenziare la carica eversiva dei Lumi e delle riforme ad essi riconducibili. Entrambi questi sviluppi sono coerenti con la tradizione di studi gesuitica, in quanto specchio fedele delle due anime - quella polemica/controversistica e quella missionaria/sincretica - che avevano reso grande la Compagnia e i suoi intellettuali. Nel quarto capitolo si pongono due questioni strettamente connesse. Partendo dall’analisi della vulgata negativa che da secoli gravava sulla storia spagnola - la cosiddetta leyenda negra - inopinatamente rivitalizzata dai philosophes francesi e scozzesi (oltre che dai letterati italiani), si illustrano le ragioni che resero interessante agli occhi del governo di Carlo III (a cominciare dal segretario di Stato José Moñino, conte di Floridablanca) le potenzialità propagandistiche degli espulsi. A cominciare dalle fine degli anni Settanta, infatti, il governo spagnolo sfruttò la graduale svalutazione della pensione vitalizia per orientare a distanza le pubblicazioni degli espulsi; da allora la pensione vitalizia si trasformò, per scelta politica, da strumento di disciplinamento a mezzo attraverso il quale instaurare un nuovo rapporto con gli espulsi in esilio: il governo spagnolo, per stessa esplicita ammissione dei diplomatici borbonici, avrebbe premiato con gratifiche economiche suppletive quei religiosi che si fossero impegnati a difendere l’“onore nazionale” screditato dagli stranieri nelle loro opere. L’esasperato patriottismo di cui tanti gesuiti dettero allora mostra nelle loro opere a stampa non deve essere considerato esclusivamente un’anticipazione dei nazionalismi romantici ottocenteschi, quanto una reazione “indotta” dal governo spagnolo, in funzione di una ben precisa campagna di stampa di tipo propagandistico. Nello stesso tempo si esamina il lento processo di ricostruzione di un rapporto proficuo e collaborativo tra i gesuiti esiliati e l’intellighenzia iberica legata al potere centrale e alle tradizioni culturali “locali” delle tante Spagne. Il lavoro si conclude con l’analisi delle contraddizioni del riavvicinamento tra governo ed espulsi, dovuto essenzialmente a ragioni opportunistiche, partendo da alcune vicende significative che videro come sfortunati protagonisti vari ignaziani di ogni Provincia.File | Dimensione | Formato | |
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