Lo Stato – ha scritto Carl Schmitt – è la figura più fulgida dello jus publicum europaeum. Ma proprio Schmitt ha dubitato che esso potesse avere un futuro nel XXI secolo. E molti altri si sono aggiunti a coloro che, già a partire dai primi del Novecento, parlavano di “crisi”, se non di “morte” dello Stato. Una Rivista che s’intitola esplicitamente – e per certi aspetti provocatoriamente – “Lo Stato” potrebbe sembrare quindi poco trendy nell’età della globalizzazione, della lex mercatoria e delle unioni giuridiche sovrastatuali che vorrebbero essere addirittura “ordinamenti giuridici” privi di statualità. Ovviamente, i direttori di essa sanno bene che lo Stato contemporaneo si trova dinanzi a sfide inedite, che deve assumere funzioni e cómpiti nuovi e abbandonare talora le impronte del vecchio modello; e tuttavia la crisi dello Stato appare loro una caratteristica intrinseca fin dall’inizio, nel senso che se lo Stato non fosse perpetuamente in crisi esso non sarebbe in grado di rispondere alle sollecitazioni della società civile, per l’appunto, trasformandosi. Del resto, cosa sarebbe lo Stato di diritto, cui continuamente ci si richiama, in una società come l’odierna che si vuole radicalmente “plurale” e “conflittuale”, senza le forme proprie dello Stato contemporaneo? Potrebbero gli ideali correnti della rule of law trovare applicazione senza le strutture legali-razionali dello Stato? Ancóra: libertà e democrazia non solo presuppongono, ma sono il risultato del riconoscimento dell’autorità. Perciò la scienza del diritto costituzionale ha poco bisogno delle astuzie di cultori specializzati in codicilli, ma molto bisogno di studiosi esperti di storia, di filosofia, di teoria, capaci di un “ragionamento costituzionale” ricco di pensiero concreto e sensibile alla criticità dell’esistente, vale a dire, alla sua storicità. E, in una simile prospettiva, un punto certamente caratterizza il modo di pensare dei curatori de “Lo Stato”: l’indifferenza alle costruzioni presuntamente astoriche e valide per sempre, comprese, ovviamente, le costituzioni, laicamente intese, invece, come prodotto, sempre mutevole, dello spirito umano. Ma proprio tale dimensione intellettuale impone che le pagine di questa pubblicazione siano aperte a tutti coloro che, in uno sforzo di riflessione che sappia andare oltre i cliché di un ceto – quello dei giuristi – troppo spesso sintonizzato sul mainstream, intendano dare un contributo a un’analisi che si vuole compiutamente scientifica.

Lo Stato. Rivista semestrale di scienza costituzionale e teoria del diritto / Vignudelli, Aljs. - In: LO STATO. - ISSN 2283-6527. - STAMPA. - (2015).

Lo Stato. Rivista semestrale di scienza costituzionale e teoria del diritto

VIGNUDELLI, Aljs
2015

Abstract

Lo Stato – ha scritto Carl Schmitt – è la figura più fulgida dello jus publicum europaeum. Ma proprio Schmitt ha dubitato che esso potesse avere un futuro nel XXI secolo. E molti altri si sono aggiunti a coloro che, già a partire dai primi del Novecento, parlavano di “crisi”, se non di “morte” dello Stato. Una Rivista che s’intitola esplicitamente – e per certi aspetti provocatoriamente – “Lo Stato” potrebbe sembrare quindi poco trendy nell’età della globalizzazione, della lex mercatoria e delle unioni giuridiche sovrastatuali che vorrebbero essere addirittura “ordinamenti giuridici” privi di statualità. Ovviamente, i direttori di essa sanno bene che lo Stato contemporaneo si trova dinanzi a sfide inedite, che deve assumere funzioni e cómpiti nuovi e abbandonare talora le impronte del vecchio modello; e tuttavia la crisi dello Stato appare loro una caratteristica intrinseca fin dall’inizio, nel senso che se lo Stato non fosse perpetuamente in crisi esso non sarebbe in grado di rispondere alle sollecitazioni della società civile, per l’appunto, trasformandosi. Del resto, cosa sarebbe lo Stato di diritto, cui continuamente ci si richiama, in una società come l’odierna che si vuole radicalmente “plurale” e “conflittuale”, senza le forme proprie dello Stato contemporaneo? Potrebbero gli ideali correnti della rule of law trovare applicazione senza le strutture legali-razionali dello Stato? Ancóra: libertà e democrazia non solo presuppongono, ma sono il risultato del riconoscimento dell’autorità. Perciò la scienza del diritto costituzionale ha poco bisogno delle astuzie di cultori specializzati in codicilli, ma molto bisogno di studiosi esperti di storia, di filosofia, di teoria, capaci di un “ragionamento costituzionale” ricco di pensiero concreto e sensibile alla criticità dell’esistente, vale a dire, alla sua storicità. E, in una simile prospettiva, un punto certamente caratterizza il modo di pensare dei curatori de “Lo Stato”: l’indifferenza alle costruzioni presuntamente astoriche e valide per sempre, comprese, ovviamente, le costituzioni, laicamente intese, invece, come prodotto, sempre mutevole, dello spirito umano. Ma proprio tale dimensione intellettuale impone che le pagine di questa pubblicazione siano aperte a tutti coloro che, in uno sforzo di riflessione che sappia andare oltre i cliché di un ceto – quello dei giuristi – troppo spesso sintonizzato sul mainstream, intendano dare un contributo a un’analisi che si vuole compiutamente scientifica.
2015
Vignudelli, Aljs
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/1069824
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