Essere padri detenuti rientra nella categoria di genitorialità a rischio, in quanto la condizione di detenzione fa venire meno alcuni presupposti fondamentali dell’esercizio della funzione genitoriale. Il genitore dovrebbe riuscire trasmettere al bambino fiducia nelle sue capacità di crescita perché il bambino si nutre di questo e non di tutte le cose che gli possono essere date materialmente (Bouregba, 2004)1. Per i detenuti, la famiglia, molto spesso, costituisce la più importante fonte di speranza, benessere e legame con l’esterno (Magaletta, Herbst, 2001)2. Ma l'ingresso in carcere interrompe ed altera la natura bidirezionale e reciproca dello scambio comunicativo e interattivo genitore-figlio. Un padre detenuto non può esercitare nella contiguità fisica, spaziale e temporale il ruolo di genitore. Va inoltre considerato che stereotipi e pregiudizi possono contribuire a creare una rappresentazione culturalmente condivisa del detenuto come soggetto incapace di essere un buon genitore, e ciò potrebbe determinare, nei soggetti in questione, un vissuto di fallimento e di inadeguatezza rispetto alla percezione di sé come padre e al proprio ruolo (Cassibba, Luchinovich, Montatore, Godelli, 2008)3. Inoltre l’assenza di modelli di riferimento adeguati, le condizioni iniziali di svantaggio, la povertà degli strumenti cognitivi, comunicativi e relazionali disponibili, uniti all’esperienza di un contesto restrittivo quale il carcere, rendono difficile la costruzione e il mantenimento di un legame fra padre-figlio adeguato alle esigenze di sviluppo del minore e stabile nel tempo (Cassibba et al, op cit, 2008). Sulla base di tale impostazione teorico-concettuale, l'obiettivo del presente contributo è quello di presentare i dati preliminari di una ricerca che ha visto la collaborazione tra l'Università di Bari e di Modena e Reggio Emilia, coinvolgendo nel contempo le amministrazioni penitenziarie delle due rispettive regioni, con lo scopo di indagare l'auto-percezione del ruolo paterno in padri in stato detentivo, esplorando nel contempo la relazione tra tale forma di auto-percezione e lo stile di attaccamento dei partecipanti alla ricerca. Dal punto di vista metodologico, per la misurazione delle variabili in oggetto sono stati utilizzati l'Attachment Style Questionnaire- ASQ (Feeney, Noller e Hanrahan, 1994) e il questionario sull'Auto-percezione del Ruolo Paterno (Harter, 1982).
La genitorialità reclusa: essere padri in carcere / Pietralunga, Susanna; Grattagliano, I.; Taurino, A.; Preti, Elisabetta; Pasceri, M.; Cassibba, R.. - STAMPA. - 1:(2013), pp. 63-64. (Intervento presentato al convegno Dalle vulnerabilità ai conflitti sociali. Migrazioni, nuove povertà, disagio mentale. tenutosi a Sirmione (BS) nel 17-19 /10/2013).
La genitorialità reclusa: essere padri in carcere
PIETRALUNGA, Susanna;PRETI, ELISABETTA;
2013
Abstract
Essere padri detenuti rientra nella categoria di genitorialità a rischio, in quanto la condizione di detenzione fa venire meno alcuni presupposti fondamentali dell’esercizio della funzione genitoriale. Il genitore dovrebbe riuscire trasmettere al bambino fiducia nelle sue capacità di crescita perché il bambino si nutre di questo e non di tutte le cose che gli possono essere date materialmente (Bouregba, 2004)1. Per i detenuti, la famiglia, molto spesso, costituisce la più importante fonte di speranza, benessere e legame con l’esterno (Magaletta, Herbst, 2001)2. Ma l'ingresso in carcere interrompe ed altera la natura bidirezionale e reciproca dello scambio comunicativo e interattivo genitore-figlio. Un padre detenuto non può esercitare nella contiguità fisica, spaziale e temporale il ruolo di genitore. Va inoltre considerato che stereotipi e pregiudizi possono contribuire a creare una rappresentazione culturalmente condivisa del detenuto come soggetto incapace di essere un buon genitore, e ciò potrebbe determinare, nei soggetti in questione, un vissuto di fallimento e di inadeguatezza rispetto alla percezione di sé come padre e al proprio ruolo (Cassibba, Luchinovich, Montatore, Godelli, 2008)3. Inoltre l’assenza di modelli di riferimento adeguati, le condizioni iniziali di svantaggio, la povertà degli strumenti cognitivi, comunicativi e relazionali disponibili, uniti all’esperienza di un contesto restrittivo quale il carcere, rendono difficile la costruzione e il mantenimento di un legame fra padre-figlio adeguato alle esigenze di sviluppo del minore e stabile nel tempo (Cassibba et al, op cit, 2008). Sulla base di tale impostazione teorico-concettuale, l'obiettivo del presente contributo è quello di presentare i dati preliminari di una ricerca che ha visto la collaborazione tra l'Università di Bari e di Modena e Reggio Emilia, coinvolgendo nel contempo le amministrazioni penitenziarie delle due rispettive regioni, con lo scopo di indagare l'auto-percezione del ruolo paterno in padri in stato detentivo, esplorando nel contempo la relazione tra tale forma di auto-percezione e lo stile di attaccamento dei partecipanti alla ricerca. Dal punto di vista metodologico, per la misurazione delle variabili in oggetto sono stati utilizzati l'Attachment Style Questionnaire- ASQ (Feeney, Noller e Hanrahan, 1994) e il questionario sull'Auto-percezione del Ruolo Paterno (Harter, 1982).File | Dimensione | Formato | |
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