Il volume esamina la questione della diversità culturale dal punto di vista di una disciplina, come l’estetica, che negli ultimi decenni ha già subito profonde trasformazioni, sotto l’impatto di nuovi problemi (ad esempio, l’estetizzazione della realtà e del quotidiano, il venir meno della barriera tra arte colta e arte di massa, l’influsso esercitato dai nuovi media tecnologici) che l’hanno spinta a rivedere non solo metodi e teorie, ma anche le stesse definizioni di “arte” e di “esperienza estetica”. A tal fine, l’Autrice si confronta con un filone di studi, sviluppatosi soprattutto in Francia o comunque in area francofona, che ha posto al centro delle proprie ricerche il concetto di métissage, intendendo con esso un processo di contaminazione interculturale dagli esiti originali e imprevisti, cioè irriducibile tanto a una semplice sommatoria degli elementi in gioco, quanto al loro fondersi in un insieme omogeneo e indifferenziato. La fortuna di questo concetto all’interno delle scienze sociali si deve al fatto che ha assunto ben presto un carattere transdisciplinare, coinvolgendo nella sua elaborazione una pluralità di saperi: non solo l’antropologia culturale, la sociologia, la storia sociale e politica, ma anche la filosofia, la linguistica, la storia dell’arte, la teoria della letteratura. Un capitolo del volume è volto a ricostruire i referenti filosofici di alcune teorie del métissage (il post-strutturalismo francese, le riflessioni sull’alterità sviluppate da Ricœur e Lévinas, l’antropologia filosofica di Bachtin), mostrando come questa nozione si trasformi in una sorta di paradigma, cioè in un modello di analisi e interpretazione dei fenomeni culturali che, pur non essendo privo di affinità con quello messo a punto in area anglosassone dai cultural e dai postcolonial studies, presenta alcuni tratti distintivi: ogni cultura viene considerata intrinsecamente e costitutivamente “interculturale”, nel senso che la relazione con le altre culture impronta ogni fase della sua genesi e del suo sviluppo; il problema dell’identità culturale viene impostato a partire da una riflessione sull’identità individuale, sulla possibilità – aperta al soggetto conoscente e agente – di muoversi tra diverse appartenenze, di autodefinirsi non contro ma mediante l’alterità; la sfera dell’arte e dell’esperienza estetica non costituisce solo un campo di applicazione delle teorie, ma anche e innanzitutto un ambito da cui mutuare teorie che consentano di leggere in modo non riduttivo i processi di contaminazione fra le culture. Per questo filone di studi, le arti rappresentano infatti un “laboratorio” dei métissages: uno spazio in cui i métissages si realizzano in modo esemplare, dandoci la possibilità di assistere al loro formarsi e al loro nascere; uno spazio, inoltre, dove tali processi evidenziano le originali configurazioni a cui possono dar luogo, anche quando i rapporti di forza sono asimmetrici; uno spazio, infine, a partire dal quale sia possibile ripensare – oltre e al di là della differenza culturale – la differenza stessa, delineando una logica non più dell’esclusione o dell’omologazione, bensì dell’interconnessione. D’altro canto, nella misura in cui focalizza l’attenzione sugli scambi, i prestiti, gli intrecci realizzati o suggeriti dalle arti, il paradigma del métissage tende ad ampliare la nozione tradizionale di arte, mettendo in discussione le frontiere e le gerarchie esistenti fra arti occidentali e arti degli altri. Un altro capitolo del volume s’interroga perciò sulle strategie utilizzate dalle istituzioni museali per rappresentare l’alterità, assumendo come caso emblematico il Musée du Quai Branly, un grande museo parigino interamente dedicato alle arti non occidentali. Infine, nell’ultimo capitolo, ci si chiede quali siano le sfide lanciate all’estetica dai cultural studies e dagli studi sul métissage; ma ci si chiede anche quali contributi possa fornire a questi studi una riflessione di carattere estetico-filosofico. Secondo l’Autrice, se il problema della diversità culturale impone oggi di ripensare l’estetica, questo ripensamento sarà tanto più efficace quanto più sarà in grado di far fruttare alcune “eredità”. Si giustifica così il ricorso a principi elaborati dalle estetiche di orientamento fenomenologico e, in particolare, da due prospettive che hanno rinnovato in profondità l’estetica italiana novecentesca: la nuova fenomenologia critica di Luciano Anceschi e la fenomenologia della tecnica artistica di Dino Formaggio. Benché esse si siano sviluppate prima che la questione della diversità culturale cominciasse a profilarsi come un problema riguardante anche l’estetica, l’Autrice vi rintraccia alcuni strumenti – sia teorici che metodologici – per impostare criticamente tale questione nella sua multidimensionalità.

Estetica e diversità culturale / Contini, Annamaria. - STAMPA. - (2013), pp. 11-246.

Estetica e diversità culturale

CONTINI, Annamaria
2013

Abstract

Il volume esamina la questione della diversità culturale dal punto di vista di una disciplina, come l’estetica, che negli ultimi decenni ha già subito profonde trasformazioni, sotto l’impatto di nuovi problemi (ad esempio, l’estetizzazione della realtà e del quotidiano, il venir meno della barriera tra arte colta e arte di massa, l’influsso esercitato dai nuovi media tecnologici) che l’hanno spinta a rivedere non solo metodi e teorie, ma anche le stesse definizioni di “arte” e di “esperienza estetica”. A tal fine, l’Autrice si confronta con un filone di studi, sviluppatosi soprattutto in Francia o comunque in area francofona, che ha posto al centro delle proprie ricerche il concetto di métissage, intendendo con esso un processo di contaminazione interculturale dagli esiti originali e imprevisti, cioè irriducibile tanto a una semplice sommatoria degli elementi in gioco, quanto al loro fondersi in un insieme omogeneo e indifferenziato. La fortuna di questo concetto all’interno delle scienze sociali si deve al fatto che ha assunto ben presto un carattere transdisciplinare, coinvolgendo nella sua elaborazione una pluralità di saperi: non solo l’antropologia culturale, la sociologia, la storia sociale e politica, ma anche la filosofia, la linguistica, la storia dell’arte, la teoria della letteratura. Un capitolo del volume è volto a ricostruire i referenti filosofici di alcune teorie del métissage (il post-strutturalismo francese, le riflessioni sull’alterità sviluppate da Ricœur e Lévinas, l’antropologia filosofica di Bachtin), mostrando come questa nozione si trasformi in una sorta di paradigma, cioè in un modello di analisi e interpretazione dei fenomeni culturali che, pur non essendo privo di affinità con quello messo a punto in area anglosassone dai cultural e dai postcolonial studies, presenta alcuni tratti distintivi: ogni cultura viene considerata intrinsecamente e costitutivamente “interculturale”, nel senso che la relazione con le altre culture impronta ogni fase della sua genesi e del suo sviluppo; il problema dell’identità culturale viene impostato a partire da una riflessione sull’identità individuale, sulla possibilità – aperta al soggetto conoscente e agente – di muoversi tra diverse appartenenze, di autodefinirsi non contro ma mediante l’alterità; la sfera dell’arte e dell’esperienza estetica non costituisce solo un campo di applicazione delle teorie, ma anche e innanzitutto un ambito da cui mutuare teorie che consentano di leggere in modo non riduttivo i processi di contaminazione fra le culture. Per questo filone di studi, le arti rappresentano infatti un “laboratorio” dei métissages: uno spazio in cui i métissages si realizzano in modo esemplare, dandoci la possibilità di assistere al loro formarsi e al loro nascere; uno spazio, inoltre, dove tali processi evidenziano le originali configurazioni a cui possono dar luogo, anche quando i rapporti di forza sono asimmetrici; uno spazio, infine, a partire dal quale sia possibile ripensare – oltre e al di là della differenza culturale – la differenza stessa, delineando una logica non più dell’esclusione o dell’omologazione, bensì dell’interconnessione. D’altro canto, nella misura in cui focalizza l’attenzione sugli scambi, i prestiti, gli intrecci realizzati o suggeriti dalle arti, il paradigma del métissage tende ad ampliare la nozione tradizionale di arte, mettendo in discussione le frontiere e le gerarchie esistenti fra arti occidentali e arti degli altri. Un altro capitolo del volume s’interroga perciò sulle strategie utilizzate dalle istituzioni museali per rappresentare l’alterità, assumendo come caso emblematico il Musée du Quai Branly, un grande museo parigino interamente dedicato alle arti non occidentali. Infine, nell’ultimo capitolo, ci si chiede quali siano le sfide lanciate all’estetica dai cultural studies e dagli studi sul métissage; ma ci si chiede anche quali contributi possa fornire a questi studi una riflessione di carattere estetico-filosofico. Secondo l’Autrice, se il problema della diversità culturale impone oggi di ripensare l’estetica, questo ripensamento sarà tanto più efficace quanto più sarà in grado di far fruttare alcune “eredità”. Si giustifica così il ricorso a principi elaborati dalle estetiche di orientamento fenomenologico e, in particolare, da due prospettive che hanno rinnovato in profondità l’estetica italiana novecentesca: la nuova fenomenologia critica di Luciano Anceschi e la fenomenologia della tecnica artistica di Dino Formaggio. Benché esse si siano sviluppate prima che la questione della diversità culturale cominciasse a profilarsi come un problema riguardante anche l’estetica, l’Autrice vi rintraccia alcuni strumenti – sia teorici che metodologici – per impostare criticamente tale questione nella sua multidimensionalità.
2013
9788854865358
ARACNE EDITRICE
ITALIA
Estetica e diversità culturale / Contini, Annamaria. - STAMPA. - (2013), pp. 11-246.
Contini, Annamaria
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