Sempre di più insistentemente, all’estero e da qualche anno anche in Italia si sentono termini anglofobi, quali: case management e managed care. In piccole e grandi aziende sanitarie pubbliche e private, si sente la necessità impellente e non più procrastinabile di ridurre il più possibile i costi, sia in termini economici, sia in termini di tempo necessario per il raggiungimento di determinati obiettivi, ovviamente non a scapito dei servizi resi all’utenza. Del termine di managed care si possono dare diverse definizioni, ma forse le più esemplificative sono:- un sistema composto da strutture e metodologie di funzionamento dell’organizzazione che ha lo scopo istituzionale di erogare servizi sanitari in modo efficiente (quindi di contenimento dei costi) ed efficace (ovvero qualità della prestazione sanitaria e del servizio erogato);- una logica/filosofia di approccio del sistema sanitario che si è sviluppata in risposta alla necessità di contenere i costi sanitari, di ricomporre la frammentazione di erogazione dei servizi e di rispondere ai bisogni sanitari del cittadino con servizi di qualità. Del case management si può affermare con certezza che si tratta di una metodologia del managed care e nel contempo dire che siamo in presenza di un meccanismo autonomo di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’assistenza sanitaria, basato sulla logica di coordinamento delle risorse da utilizzare per la specifica patologia di un paziente attraverso le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario. L’approccio di case management prevede tre elementi:- la conoscenza clinica ed economica del percorso di una malattia articolato sulla base di linee guida e/o protocolli;- un sistema sanitario senza le tradizionali separazioni di struttura e specialità; (e soprattutto) – un processo in evoluzione capace di sviluppare le conoscenze cliniche, di ridefinire le linee guida e di modificare il sistema di cure quando questo viene considerato superato o comunque non adeguato. Il case management è un processo basato necessariamente e obbligatoriamente, sulla collaborazione dei vari professionisti presenti nell’èquipe, teso alla valutazione, pianificazione, implementazione, coordinamento, monitoraggio e selezione delle opzioni e dei servizi che possono soddisfare i bisogni individuali, di un determinato target di utenti, in campo sanitario e sociale. Insomma tutti i componenti dell’èquipe devono preoccuparsi di assicurare che una persona riceva le cure giuste, nel momento giusto e nel tempo giusto, superando la frammentazione delle risposte assistenziali e perché tutto ciò avvenga tutte le professionalità presenti nell’èquipe devono far proprio il modello d’approccio clinico. Occorre comunque allo stesso tempo pensare ad un sistema incentivante per tutti gli operatori sanitari e per i servizi erogatori di prestazioni basato sui valori della produttività, contenimento dei costi, qualità rispetto a dei modelli di utilizzo dei servizi. Ad oggi l’equilibrio costruito all’interno del sistema basato sulla selezione, sulla verifica dei risultati e sull’incentivazione si è dimostrato efficace nell’orientare le scelte dei clinici, quantomeno nell’esperienze americane e canadesi di cui abbiamo notizia. In realtà contrariamente a ciò che si può pensare sull’approccio del case management, la letteratura specialistica, in maggioranza straniera, ci informa che l’origine del concetto viene fatto risalire a circa 150 anni fa. E’ lecito e verosimile pensare che le risorse economiche e di tempo già un secolo e mezzo fa erano fonte di preoccupazione, in quanto non illimitate, a fronte dei servizi sempre maggiori che dovevano essere forniti. Per cui in un contesto socio-economico quale quello in cui viviamo ed operiamo e per una scelta etico-culturale, in cui sempre di più si parla della difesa del sistema sanitario universalistico, in cui tutti debbono avere libero accesso alle cure a prescindere dalle condizioni sociali ed economiche, non si può più prescindere dal tentare di coniugare le sempre più crescenti esigenze sociali e sanitarie con le sempre più modeste risorse economiche. Se da un lato non si vuole ridurre l’offerta sanitaria, dall’altro dobbiamo fare i conti con dei bilanci aziendali sempre in affanno, forse adottare nuovi modelli organizzativi ed operativi che fanno leva su esperienze positive già fatte all’estero, può parzialmente risolvere le nostre difficoltà. Siamo stati abituati nel corso della nostra esperienza lavorativa ad ascoltare un coro infinito di lamentele o di luoghi comuni circa la cattiva amministrazione delle risorse aziendali, dei superati modelli organizzativi, che spesso sfociano in veri e propri conflitti intestini tra i vari operatori presenti nelle varie èquipe, ma nello stesso tempo abbiamo però a fronte di una ricerca condotta da un gruppo di operatori nel 2004 (di cui gli scriventi fanno parte) all’interno dei servizi del D.S.M. (coordinata dalla dr.ssa Yvonne Bonner e dal dr.Stefano Mastrangelo di R.Emilia), sentito e documentato che molti professionisti sanitari (medici,infermieri,educatori,etc), affermano che fra le mille cose che potrebbero andare meglio, vi sono molti esempi di buone pratiche di cui però si parla poco. Ad una cultura della lamentela e della rivendicazione spesso giusta e motivata, bisognerebbe per “par condicio”, contrapporre o affiancare una maggiore pubblicizzazione e valorizzazione delle buone pratiche esistenti in tutte le aziende, che qualcuno di noi ha tentato di registrare al fine di “esportare” in altri contesti più problematici i punti di forza delle esperienze positive, affinché queste possano diventare nel tempo, idealmente la norma. Non crediamo nella codificazione, nei modelli operativi rigidi, nella diffusione d’ufficio delle buone pratiche, crediamo però che uno studio più attento, sistematico, organico e scientifico debba essere condotto su ciò che funziona bene e in molte realtà territoriali del nostro D.S.M. e che non debba esserci invece una resa di fronte al luogo comune, alle dicerie malevoli, allo scetticismo diffuso e generalizzato perché questo non aiuta a migliorare l’erogazione delle prestazioni sanitarie. In ogni èquipe esistono delle criticità, delle complessità e delle dinamiche che instaurandosi nel tempo non possono essere modificate in tempi relativamente brevi, ma questo non può tradursi nel rassegnarsi e a passare in rassegna solo ciò che non va ma al contrario lavorare pervicacemente, con costanza e per cosi dire ossessivamente su ciò che funziona, su ciò che può essere migliorato, su ciò che è perfettibile e che tende nel suo complesso a garantire ad operatori, utenti e familiari la certezza di essere in un contesto che si evolve in un’ottica di miglioramento dell’assistenza. Stando all’esperienza di chi vi parla, la fisionomia del servizio in cui lavoriamo è in continua evoluzione in senso positivo ma ciò non esime tutti gli operatori dall’impegnarsi nella ricerca dei miglioramenti da apportare, su ciò che già di buono esiste, sulla scorta se si vuole, delle esperienze positive di cui siamo stati testimoni e protagonisti, anche perché forse non vi è altra possibilità di crescita se non a partire dalle buone pratiche più o meno esistenti nel nostro servizio, come in misura diversa in tutti i servizi, per apportare dei cambiamenti favorevoli a tutti.CONCLUSIONI Concludendo crediamo che la maggiore risorsa di un’azienda sanitaria sia il potenziale intellettuale e scientifico dei propri professionisti e che questo potenziale debba essere valorizzato e coordinato da figure preparate ed addestrate quali ad esempio i case manager, cosi come già avviene in alcune aziende sanitarie, già da qualche anno. Sulla scorta di ciò e non solo, crediamo che sia importante per tutti gli infermieri incominciare a stimolare in tutte le aziende di appartenenza una discussione sull’opportunità di dotarsi di nuovi strumenti e nuove figure all’interno dei vari servizi e unità operative.

Case management e buone pratiche, riflessioni su una ricerca condotta nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. di Modena / Ferri, Paola; A., Giannone; R., Paguni. - In: UNIVERSO INFERMIERISTICO. - STAMPA. - 2:(2005), pp. 14-15.

Case management e buone pratiche, riflessioni su una ricerca condotta nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. di Modena

FERRI, Paola;
2005

Abstract

Sempre di più insistentemente, all’estero e da qualche anno anche in Italia si sentono termini anglofobi, quali: case management e managed care. In piccole e grandi aziende sanitarie pubbliche e private, si sente la necessità impellente e non più procrastinabile di ridurre il più possibile i costi, sia in termini economici, sia in termini di tempo necessario per il raggiungimento di determinati obiettivi, ovviamente non a scapito dei servizi resi all’utenza. Del termine di managed care si possono dare diverse definizioni, ma forse le più esemplificative sono:- un sistema composto da strutture e metodologie di funzionamento dell’organizzazione che ha lo scopo istituzionale di erogare servizi sanitari in modo efficiente (quindi di contenimento dei costi) ed efficace (ovvero qualità della prestazione sanitaria e del servizio erogato);- una logica/filosofia di approccio del sistema sanitario che si è sviluppata in risposta alla necessità di contenere i costi sanitari, di ricomporre la frammentazione di erogazione dei servizi e di rispondere ai bisogni sanitari del cittadino con servizi di qualità. Del case management si può affermare con certezza che si tratta di una metodologia del managed care e nel contempo dire che siamo in presenza di un meccanismo autonomo di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’assistenza sanitaria, basato sulla logica di coordinamento delle risorse da utilizzare per la specifica patologia di un paziente attraverso le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario. L’approccio di case management prevede tre elementi:- la conoscenza clinica ed economica del percorso di una malattia articolato sulla base di linee guida e/o protocolli;- un sistema sanitario senza le tradizionali separazioni di struttura e specialità; (e soprattutto) – un processo in evoluzione capace di sviluppare le conoscenze cliniche, di ridefinire le linee guida e di modificare il sistema di cure quando questo viene considerato superato o comunque non adeguato. Il case management è un processo basato necessariamente e obbligatoriamente, sulla collaborazione dei vari professionisti presenti nell’èquipe, teso alla valutazione, pianificazione, implementazione, coordinamento, monitoraggio e selezione delle opzioni e dei servizi che possono soddisfare i bisogni individuali, di un determinato target di utenti, in campo sanitario e sociale. Insomma tutti i componenti dell’èquipe devono preoccuparsi di assicurare che una persona riceva le cure giuste, nel momento giusto e nel tempo giusto, superando la frammentazione delle risposte assistenziali e perché tutto ciò avvenga tutte le professionalità presenti nell’èquipe devono far proprio il modello d’approccio clinico. Occorre comunque allo stesso tempo pensare ad un sistema incentivante per tutti gli operatori sanitari e per i servizi erogatori di prestazioni basato sui valori della produttività, contenimento dei costi, qualità rispetto a dei modelli di utilizzo dei servizi. Ad oggi l’equilibrio costruito all’interno del sistema basato sulla selezione, sulla verifica dei risultati e sull’incentivazione si è dimostrato efficace nell’orientare le scelte dei clinici, quantomeno nell’esperienze americane e canadesi di cui abbiamo notizia. In realtà contrariamente a ciò che si può pensare sull’approccio del case management, la letteratura specialistica, in maggioranza straniera, ci informa che l’origine del concetto viene fatto risalire a circa 150 anni fa. E’ lecito e verosimile pensare che le risorse economiche e di tempo già un secolo e mezzo fa erano fonte di preoccupazione, in quanto non illimitate, a fronte dei servizi sempre maggiori che dovevano essere forniti. Per cui in un contesto socio-economico quale quello in cui viviamo ed operiamo e per una scelta etico-culturale, in cui sempre di più si parla della difesa del sistema sanitario universalistico, in cui tutti debbono avere libero accesso alle cure a prescindere dalle condizioni sociali ed economiche, non si può più prescindere dal tentare di coniugare le sempre più crescenti esigenze sociali e sanitarie con le sempre più modeste risorse economiche. Se da un lato non si vuole ridurre l’offerta sanitaria, dall’altro dobbiamo fare i conti con dei bilanci aziendali sempre in affanno, forse adottare nuovi modelli organizzativi ed operativi che fanno leva su esperienze positive già fatte all’estero, può parzialmente risolvere le nostre difficoltà. Siamo stati abituati nel corso della nostra esperienza lavorativa ad ascoltare un coro infinito di lamentele o di luoghi comuni circa la cattiva amministrazione delle risorse aziendali, dei superati modelli organizzativi, che spesso sfociano in veri e propri conflitti intestini tra i vari operatori presenti nelle varie èquipe, ma nello stesso tempo abbiamo però a fronte di una ricerca condotta da un gruppo di operatori nel 2004 (di cui gli scriventi fanno parte) all’interno dei servizi del D.S.M. (coordinata dalla dr.ssa Yvonne Bonner e dal dr.Stefano Mastrangelo di R.Emilia), sentito e documentato che molti professionisti sanitari (medici,infermieri,educatori,etc), affermano che fra le mille cose che potrebbero andare meglio, vi sono molti esempi di buone pratiche di cui però si parla poco. Ad una cultura della lamentela e della rivendicazione spesso giusta e motivata, bisognerebbe per “par condicio”, contrapporre o affiancare una maggiore pubblicizzazione e valorizzazione delle buone pratiche esistenti in tutte le aziende, che qualcuno di noi ha tentato di registrare al fine di “esportare” in altri contesti più problematici i punti di forza delle esperienze positive, affinché queste possano diventare nel tempo, idealmente la norma. Non crediamo nella codificazione, nei modelli operativi rigidi, nella diffusione d’ufficio delle buone pratiche, crediamo però che uno studio più attento, sistematico, organico e scientifico debba essere condotto su ciò che funziona bene e in molte realtà territoriali del nostro D.S.M. e che non debba esserci invece una resa di fronte al luogo comune, alle dicerie malevoli, allo scetticismo diffuso e generalizzato perché questo non aiuta a migliorare l’erogazione delle prestazioni sanitarie. In ogni èquipe esistono delle criticità, delle complessità e delle dinamiche che instaurandosi nel tempo non possono essere modificate in tempi relativamente brevi, ma questo non può tradursi nel rassegnarsi e a passare in rassegna solo ciò che non va ma al contrario lavorare pervicacemente, con costanza e per cosi dire ossessivamente su ciò che funziona, su ciò che può essere migliorato, su ciò che è perfettibile e che tende nel suo complesso a garantire ad operatori, utenti e familiari la certezza di essere in un contesto che si evolve in un’ottica di miglioramento dell’assistenza. Stando all’esperienza di chi vi parla, la fisionomia del servizio in cui lavoriamo è in continua evoluzione in senso positivo ma ciò non esime tutti gli operatori dall’impegnarsi nella ricerca dei miglioramenti da apportare, su ciò che già di buono esiste, sulla scorta se si vuole, delle esperienze positive di cui siamo stati testimoni e protagonisti, anche perché forse non vi è altra possibilità di crescita se non a partire dalle buone pratiche più o meno esistenti nel nostro servizio, come in misura diversa in tutti i servizi, per apportare dei cambiamenti favorevoli a tutti.CONCLUSIONI Concludendo crediamo che la maggiore risorsa di un’azienda sanitaria sia il potenziale intellettuale e scientifico dei propri professionisti e che questo potenziale debba essere valorizzato e coordinato da figure preparate ed addestrate quali ad esempio i case manager, cosi come già avviene in alcune aziende sanitarie, già da qualche anno. Sulla scorta di ciò e non solo, crediamo che sia importante per tutti gli infermieri incominciare a stimolare in tutte le aziende di appartenenza una discussione sull’opportunità di dotarsi di nuovi strumenti e nuove figure all’interno dei vari servizi e unità operative.
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Case management e buone pratiche, riflessioni su una ricerca condotta nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. di Modena / Ferri, Paola; A., Giannone; R., Paguni. - In: UNIVERSO INFERMIERISTICO. - STAMPA. - 2:(2005), pp. 14-15.
Ferri, Paola; A., Giannone; R., Paguni
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