Il capitolo è diviso in due parti: il secondo paragrafo si occupa di «misurabilità» del capitale sociale; gli altri due paragrafi tentano invece una sua «misura» utilizzando i dati dell'Inchiesta sulle Condizioni Economiche e Sociali della provincia di Modena (ICESmo). La prima parte discute il concetto sul piano metodologico e cerca di superare il diffuso scetticismo – soprattutto da parte degli economisti – nel riconoscere al capitale sociale una valenza esplicativa forte, soprattutto nella relazione tra equità ed efficienza. La seconda parte è, invece, orientata empiricamente e riprende molte delle tematiche del libro; in particolare, si cerca di misurare l’azione della famiglia nella costruzione e nella difesa, sia del capitale umano, sia della rete allargata delle relazioni esterne ad essa. Oggetto di studio è stato anche il grado di partecipazione alle attività sociali, culturali e sportive, e le sue determinanti, con particolare attenzione all’impatto della governance sociale.Nel lavoro si è cercato di mostrare che la definizione e la misura del concetto di capitale sociale sono possibili solo grazie ad un mutamento nella prospettiva teorica. Il passaggio chiave, è la definizione del concetto di «risorsa» come struttura di diritti (nel senso lato di leggi, convenzioni, contratti privati, consuetudini, ecc.) e non come ammontare fisico già dato. Il mutamento di prospettiva è lo stesso su cui si appoggiano tutte le nuove teorie istituzionaliste dell’impresa, dello sviluppo endogeno, dei distretti, ecc.Sul piano teorico, il cambio di prospettiva ha consentito: di invertire la relazione di casualità, da risorsa → allocazione, a governance → formazione della risorsa → allocazione. Questo ha permesso di far emergere la centralità economica delle risorse relazionali quali l’informazione, la cultura, la reputazione e – relativamente ad unità economiche integrate – il capitale sociale. Affermare che la «risorse» non esistono in natura, implica affermare che la formazione dei diritti per svolgere dei processi produttivi hanno la medesima valenza economica anche nei processi di riproduzione: questa equivalenza è la radice principale del rapporto di casualità che equità → efficienza, escluso nell’approccio metodologico individualista, dove i processi di riproduzione sono di esclusiva e privata competenza del «proprietario delle risorse».Il cambio di prospettiva rende teoricamente misurabile il concetto di «capitale sociale» come bene-common costruito da precise azioni di governo e della possibilità di esercitare i diritti di uso (cittadinanza); quindi, una risorsa che viene prodotta e riprodotta come bene pubblico, sia attraverso l’interazione dei soggetti, sia grazie ad azioni di governance. Data la definizione generale, la sua «unità di misura» empirica, dipende dalla scala e/o dall’unità di osservazione.Il capitale sociale non è unicamente uno stock di risorse che si forma grazie alla «sedimentazione» dei comportamenti, ma è anche il risultato di specifiche azioni di policy nell’estendere i diritti di cittadinanza, quindi di partecipazione al bene-common. Si è infine cercato di misurare la partecipazione dei cittadini – quale indicatore di costruzione e utilizzo del capitale sociale – in tre diverse direzioni: attività sociali, culturali e sportive. La prima conclusione è la conferma dell’alto tasso di partecipazione – indipendente dalle variabili personali degli intervistati – come stock di capitale sociale disponibile, che si sovrappone alla fitta rete di relazioni famigliari. Si è poi mostrato che la principale fonte di variabilità è determinata dall’azione di alcuni items specifici e ricorrenti, tutti riconducibili al delicato equilibrio tra modalità di formazione del reddito e disponibilità di tempo «libero», tra produzione e riproduzione della vita. Tale rapporto si conferma come il punto cruciale, l’obiettivo da tenere sempre presente nella selezione delle politiche, il punto debole che può presentarsi in modo dirompente con l’aumento della popolazione e l’aumento dei bisogni dei nuovi citta-dini: ancora una volta – soprattutto perché si profila il rischio che i commons, da virtù sociale, si trasformino in «tragedia» – è necessaria una forte presenza istituzionale e una decisa politica di equità redistributiva.

Capitale sociale e reti di relazioni / Giovannetti, Enrico. - STAMPA. - (2004), pp. 137-171.

Capitale sociale e reti di relazioni

GIOVANNETTI, Enrico
2004

Abstract

Il capitolo è diviso in due parti: il secondo paragrafo si occupa di «misurabilità» del capitale sociale; gli altri due paragrafi tentano invece una sua «misura» utilizzando i dati dell'Inchiesta sulle Condizioni Economiche e Sociali della provincia di Modena (ICESmo). La prima parte discute il concetto sul piano metodologico e cerca di superare il diffuso scetticismo – soprattutto da parte degli economisti – nel riconoscere al capitale sociale una valenza esplicativa forte, soprattutto nella relazione tra equità ed efficienza. La seconda parte è, invece, orientata empiricamente e riprende molte delle tematiche del libro; in particolare, si cerca di misurare l’azione della famiglia nella costruzione e nella difesa, sia del capitale umano, sia della rete allargata delle relazioni esterne ad essa. Oggetto di studio è stato anche il grado di partecipazione alle attività sociali, culturali e sportive, e le sue determinanti, con particolare attenzione all’impatto della governance sociale.Nel lavoro si è cercato di mostrare che la definizione e la misura del concetto di capitale sociale sono possibili solo grazie ad un mutamento nella prospettiva teorica. Il passaggio chiave, è la definizione del concetto di «risorsa» come struttura di diritti (nel senso lato di leggi, convenzioni, contratti privati, consuetudini, ecc.) e non come ammontare fisico già dato. Il mutamento di prospettiva è lo stesso su cui si appoggiano tutte le nuove teorie istituzionaliste dell’impresa, dello sviluppo endogeno, dei distretti, ecc.Sul piano teorico, il cambio di prospettiva ha consentito: di invertire la relazione di casualità, da risorsa → allocazione, a governance → formazione della risorsa → allocazione. Questo ha permesso di far emergere la centralità economica delle risorse relazionali quali l’informazione, la cultura, la reputazione e – relativamente ad unità economiche integrate – il capitale sociale. Affermare che la «risorse» non esistono in natura, implica affermare che la formazione dei diritti per svolgere dei processi produttivi hanno la medesima valenza economica anche nei processi di riproduzione: questa equivalenza è la radice principale del rapporto di casualità che equità → efficienza, escluso nell’approccio metodologico individualista, dove i processi di riproduzione sono di esclusiva e privata competenza del «proprietario delle risorse».Il cambio di prospettiva rende teoricamente misurabile il concetto di «capitale sociale» come bene-common costruito da precise azioni di governo e della possibilità di esercitare i diritti di uso (cittadinanza); quindi, una risorsa che viene prodotta e riprodotta come bene pubblico, sia attraverso l’interazione dei soggetti, sia grazie ad azioni di governance. Data la definizione generale, la sua «unità di misura» empirica, dipende dalla scala e/o dall’unità di osservazione.Il capitale sociale non è unicamente uno stock di risorse che si forma grazie alla «sedimentazione» dei comportamenti, ma è anche il risultato di specifiche azioni di policy nell’estendere i diritti di cittadinanza, quindi di partecipazione al bene-common. Si è infine cercato di misurare la partecipazione dei cittadini – quale indicatore di costruzione e utilizzo del capitale sociale – in tre diverse direzioni: attività sociali, culturali e sportive. La prima conclusione è la conferma dell’alto tasso di partecipazione – indipendente dalle variabili personali degli intervistati – come stock di capitale sociale disponibile, che si sovrappone alla fitta rete di relazioni famigliari. Si è poi mostrato che la principale fonte di variabilità è determinata dall’azione di alcuni items specifici e ricorrenti, tutti riconducibili al delicato equilibrio tra modalità di formazione del reddito e disponibilità di tempo «libero», tra produzione e riproduzione della vita. Tale rapporto si conferma come il punto cruciale, l’obiettivo da tenere sempre presente nella selezione delle politiche, il punto debole che può presentarsi in modo dirompente con l’aumento della popolazione e l’aumento dei bisogni dei nuovi citta-dini: ancora una volta – soprattutto perché si profila il rischio che i commons, da virtù sociale, si trasformino in «tragedia» – è necessaria una forte presenza istituzionale e una decisa politica di equità redistributiva.
2004
La ricchezza dell’equità. Distribuzione del reddito e condizioni di vita in un’area ad elevato benessere
9788815101853
il Mulino
ITALIA
Capitale sociale e reti di relazioni / Giovannetti, Enrico. - STAMPA. - (2004), pp. 137-171.
Giovannetti, Enrico
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