Questa antologia è un’occasione per tutti coloro sono accomunati dalla passione per l’educazione motoria e sportiva di ripensarle entrambe. Questo significa fondamentalmente due cose: prima di tutto, ricercare le origini e lo sviluppo di queste pratiche, sulla base del principio che la ricostruzione storico-critica della loro genesi aiuta a capire meglio la complessità dei problemi; in secondo luogo, fortificati dall’acquisizione di questa prospettiva storica, provare a ridare un senso, nell’oggi, allo statuto epistemologico e al significato sociale di questi due oggetti culturali di lunga durata. Il suo testo pone questioni serie sia all’educazione motoria sia a quella sportiva, ed è per questo che il lettore deve essere consapevole della realtà sociale e culturale che costituisce lo spessore storico di queste pratiche. Non mi stanco di ripetere più volte “storico”, perché proprio in un periodo come quello odierno, abituato all’immediatezza sterile della polemica televisiva e alla progressiva incapacità di affrontare come complesse questioni che lo sono davvero, c’è bisogno di recuperare un minimo di capacità di lettura tridimensionale dei problemi. Questo vale anche per l’educazione motoria e sportiva, argomenti riguardo ai quali alla consumistica fruizione dei roboanti messaggi della grancassa massmediatica non sempre corrisponde la possibilità di una riflessione pacata, in controluce, che perda un po’ di tempo a ricostruire, comprendere e approfondire. Da un lato, infatti, l’educazione motoria, neologismo recente, riassume in sé tutto il cammino della ginnastica e dell’educazione fisica fin dalle origini delle società umane; dall’altro l’educazione sportiva nasce, non con questo nome ovviamente, con la ginnastica greca e la rete dei giochi antichi, ma si rende autonoma solo in tempi relativamente recenti. Prima di passare alla presentazione vera e propria dei testi e dei passi critici, si provi a ripercorrere brevemente le tappe di questi due percorsi, la cui storia globale è reperibile in altre pubblicazioni, per offrire al lettore una chiave di lettura più intrigante, che permetta di ottenere una descrizione più spessa delle questioni sul tappeto. L’educazione motoria: uno sguardo storico L’educazione motoria nasce con le pratiche motorie ritualizzate delle società nomadi di caccia e raccolta e delle prime grandi civiltà fluviali, agricole e stanziali: queste pratiche sono una serie di gesti e movimenti corporei, funzionali alla riproduzione sociale, come le tecniche di caccia e di difesa, che vengono inquadrate nella stessa cornice magico-religiosa che garantisce la coesione sociale, al punto che non possiamo scinderle da questa, come capita invece oggi nelle nostre società post-industriali, in cui la pratica motoria è affidata alla sfera del privato e completamente laicizzata. Prosegue poi con la ginnastica greca, l’arte di compiere movimenti corporei in situazione di nudità (questo è il significato etimologico di “ginnastica”) e di educare il corpo ad una gestualità socialmente rilevante: raggiungere il bello e al tempo stesso risultare utili alla polis, specialmente nel periodo dello sviluppo delle grandi fanterie politiche del V secolo. La civiltà greca è quella che sviluppa l’educazione motoria in senso ludico, ma sempre in una cornice religiosa, con la nascita dei “giochi” che solo anacronisticamente possiamo chiamare “sportivi”, ma che sono in realtà manifestazioni nelle quali la nazione greca si riconosce come una sola, e questo accade precipuamente nei cosiddetti “giochi del periodo” o “panellenici”, o nelle quali una comunità locale esprime la sua storia e la sua cultura, e questo è testimoniato dalla miriade di giochi locali che si celebrarono in Grecia dal VII secolo a. C. e fino all’età imperiale. Con la conquista romana della Grecia, l’idea “agonale” dei giochi, basata sulla competizione tra uomini liberi per la gloria individuale e per l’immagine della polis di provenienza, già peraltro messa a dura prova dalla conquista macedone, cede il passo definitivamente al ludus, di orgine etrusca, come testimoniano i meravigliosi affreschi di Tarquinia3, cioè ad una performance attivata prevalentemente da schiavi e finalizzata unicamente allo spettacolo, che in molti casi è uno spettacolo sanguinario come il combattimento dei gladiatori. L’avvento del cristianesimo, come una delle tante religioni misteriche prima e come religione di stato poi, implica una profonda rivoluzione nella concezione del corpo e del movimento: eliminati i giochi greco-romani come forme di paganesimo, la preparazione fisica viene concepita dalla maggioranza dei Padri della Chiesa come un uso positivo di un dono di Dio, purché rimanga sempre un mezzo, per raggiungere finalità spirituali, e mai diventi fine a sé stante, legato alla materialità caduca e potenzialmente “peccaminosa” della corporeità. Pur non essendo però implicito, nel pensiero patristico, un radicale dualismo anima-corpo, la cultura cristiana finì di fatto per svalutare la dimensione corporea, sottomettendola di fatto alla dimensione intellettuale e spirituale. Si deve attendere il movimento umanistico, che pure affonda le sue radici nel cristianesimo, ma in un cristianesimo al quale si affianca una nuova valutazione delle capacità umane, per ottenere una sostanziale pari dignità tra anima e corpo, come si evince dall’esame dei curricoli delle nuove scuole. Storicamente, come abbiamo detto in apertura di queste brevi considerazioni introduttive a questo lavoro, lo sport, la sua pratica e la sua cultura sono vicende relativamente recenti, se riferite alla loro nascita “moderna”. La “storia dello sport” non è infatti una narrazione che senza soluzione di continuità inizia da Olimpia e porta a Seul e Tokio, ma è la storia di eventi che, per quanto simili nel contenuto, sono stati vissuti con significati completamente diversi nelle diverse epoche storiche in cui sono apparsi o in quelle in cui sono stati rivitalizzanti: solo un atteggiamento veteropositivistico potrebbe infatti farci tracciare una linea retta (e magari ascensionale in quanto “progressiva” verso il meglio) dalle prime testimonianze di attività “sportive” dell’antico Egitto, le vivide immagini dei lottatori delle tombe di Ti e di Fta-hotep4, al mondo dello sport contemporaneo, al tempo stesso pratica di massa, business, fenomeno culturale e sociale di amplissima portata. Bisogna essere infatti coscienti del fatti che solo per assimilazione analogica, non priva di una inevitabile vena anacronistica, noi chiamiamo “sportivi” gli agoni ginnici ed ippici dell’antica Grecia, i ludi romani e i giochi di squadra con la palla del periodo medievale e rinascimentale. I primi erano però prima di tutto cerimonie religiose, o meglio, erano gare “sportive” inserite in una cornice religiosa che ne forniva anche la ragion d’essere: non c’era gioco che non derivasse da cerimonie funebri o religiose, che non fosse dedicato a qualche divinità, che non si svolgesse in una rigorosa sequenza di riti religiosi. Si badi bene che l’aspetto religioso non era accessorio o complementare: era lo loro essenza, come dimostra il fatto che, quando con l’imperatore Teodosio il cristianesimo divenne religione di stato, le Olimpiadi e tutti i giochi antichi furono immediatamente aboliti, in quanto percepiti dalla nuova coscienza religiosa cristiana come perniciosi riti pagani, e non come innocue e neutrali manifestazioni di atletismo. Anche i ludi romani presentano aspetti simili allo sport moderno, primo fra tutti l’enfasi sulla spettacolarizzazione dell’evento, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che questi erano spettacoli svolti principalmente da un numero ristretto di praticanti, sia da atleti professionisti, visto che l’agonistica ginnico-atletica era stata copiata dai Greci e adattata a giochi istituiti in età romana, sia da schiavi, e questo vale specialmente per i ludi gladiatorii, tipico prodotto della romanità, che ancora oggi suscita interrogativi inquietanti su una civiltà che, se da un lato dotava quella che poi sarebbe divenuta l’Europa di infrastrutture e strumenti culturali, dall’altro metteva in scena lo spettacolo della morte come valvola di sfogo delle tensioni sociali inconsce e per puri fini di divertimento. Speriamo che questa carrellata storica, questa specie di “macchina del tempo” applicata all’educazione fisica e allo sport, abbia creato le giuste premesse per apprezzare ancora di più un testo che si propone di fare accedere alle fonti dirette e alle loro più ravvicinate interpretazioni. Questo testo cerca di far vedere i problemi dell’educazione fisica e dello sport da un punto di vista genuinamente educativo, mettendo in luce l’assoluta necessità, per chi l’educazione fisica e lo sport vogliono insegnare, di operare pedagogicamente, cioè dotarsi di capacità riflessive sugli eventi educativi, sapendo andare oltre la loro immediatezza. Non basta più l’esperienza personale, che per quanto ricca risulta sempre limitata dalle circostanze uniche ed irripetibili che l’hanno generata: occorre una cultura pedagogica di riferimento per inquadrare in modo adeguato gli eventi educativi dei quali saremo protagonisti. Questo è uno dei motivi seri per i quali le discipline pedagogiche devono assolutamente essere mantenute e potenziate anche nei curricoli di base delle scienze motorie, per formare professionalità attente alla portata educativa dei comportamenti messi in atto.

Dal cacciatore neolitico al cavaliere templare. Autori e testi nella storia dell'educazione fisica e dei giochi sportivi dagli albori dell'umanità al tardo medioevo / Barbieri, Nicola. - 1:(2003), pp. 1-154.

Dal cacciatore neolitico al cavaliere templare. Autori e testi nella storia dell'educazione fisica e dei giochi sportivi dagli albori dell'umanità al tardo medioevo

BARBIERI, Nicola
2003

Abstract

Questa antologia è un’occasione per tutti coloro sono accomunati dalla passione per l’educazione motoria e sportiva di ripensarle entrambe. Questo significa fondamentalmente due cose: prima di tutto, ricercare le origini e lo sviluppo di queste pratiche, sulla base del principio che la ricostruzione storico-critica della loro genesi aiuta a capire meglio la complessità dei problemi; in secondo luogo, fortificati dall’acquisizione di questa prospettiva storica, provare a ridare un senso, nell’oggi, allo statuto epistemologico e al significato sociale di questi due oggetti culturali di lunga durata. Il suo testo pone questioni serie sia all’educazione motoria sia a quella sportiva, ed è per questo che il lettore deve essere consapevole della realtà sociale e culturale che costituisce lo spessore storico di queste pratiche. Non mi stanco di ripetere più volte “storico”, perché proprio in un periodo come quello odierno, abituato all’immediatezza sterile della polemica televisiva e alla progressiva incapacità di affrontare come complesse questioni che lo sono davvero, c’è bisogno di recuperare un minimo di capacità di lettura tridimensionale dei problemi. Questo vale anche per l’educazione motoria e sportiva, argomenti riguardo ai quali alla consumistica fruizione dei roboanti messaggi della grancassa massmediatica non sempre corrisponde la possibilità di una riflessione pacata, in controluce, che perda un po’ di tempo a ricostruire, comprendere e approfondire. Da un lato, infatti, l’educazione motoria, neologismo recente, riassume in sé tutto il cammino della ginnastica e dell’educazione fisica fin dalle origini delle società umane; dall’altro l’educazione sportiva nasce, non con questo nome ovviamente, con la ginnastica greca e la rete dei giochi antichi, ma si rende autonoma solo in tempi relativamente recenti. Prima di passare alla presentazione vera e propria dei testi e dei passi critici, si provi a ripercorrere brevemente le tappe di questi due percorsi, la cui storia globale è reperibile in altre pubblicazioni, per offrire al lettore una chiave di lettura più intrigante, che permetta di ottenere una descrizione più spessa delle questioni sul tappeto. L’educazione motoria: uno sguardo storico L’educazione motoria nasce con le pratiche motorie ritualizzate delle società nomadi di caccia e raccolta e delle prime grandi civiltà fluviali, agricole e stanziali: queste pratiche sono una serie di gesti e movimenti corporei, funzionali alla riproduzione sociale, come le tecniche di caccia e di difesa, che vengono inquadrate nella stessa cornice magico-religiosa che garantisce la coesione sociale, al punto che non possiamo scinderle da questa, come capita invece oggi nelle nostre società post-industriali, in cui la pratica motoria è affidata alla sfera del privato e completamente laicizzata. Prosegue poi con la ginnastica greca, l’arte di compiere movimenti corporei in situazione di nudità (questo è il significato etimologico di “ginnastica”) e di educare il corpo ad una gestualità socialmente rilevante: raggiungere il bello e al tempo stesso risultare utili alla polis, specialmente nel periodo dello sviluppo delle grandi fanterie politiche del V secolo. La civiltà greca è quella che sviluppa l’educazione motoria in senso ludico, ma sempre in una cornice religiosa, con la nascita dei “giochi” che solo anacronisticamente possiamo chiamare “sportivi”, ma che sono in realtà manifestazioni nelle quali la nazione greca si riconosce come una sola, e questo accade precipuamente nei cosiddetti “giochi del periodo” o “panellenici”, o nelle quali una comunità locale esprime la sua storia e la sua cultura, e questo è testimoniato dalla miriade di giochi locali che si celebrarono in Grecia dal VII secolo a. C. e fino all’età imperiale. Con la conquista romana della Grecia, l’idea “agonale” dei giochi, basata sulla competizione tra uomini liberi per la gloria individuale e per l’immagine della polis di provenienza, già peraltro messa a dura prova dalla conquista macedone, cede il passo definitivamente al ludus, di orgine etrusca, come testimoniano i meravigliosi affreschi di Tarquinia3, cioè ad una performance attivata prevalentemente da schiavi e finalizzata unicamente allo spettacolo, che in molti casi è uno spettacolo sanguinario come il combattimento dei gladiatori. L’avvento del cristianesimo, come una delle tante religioni misteriche prima e come religione di stato poi, implica una profonda rivoluzione nella concezione del corpo e del movimento: eliminati i giochi greco-romani come forme di paganesimo, la preparazione fisica viene concepita dalla maggioranza dei Padri della Chiesa come un uso positivo di un dono di Dio, purché rimanga sempre un mezzo, per raggiungere finalità spirituali, e mai diventi fine a sé stante, legato alla materialità caduca e potenzialmente “peccaminosa” della corporeità. Pur non essendo però implicito, nel pensiero patristico, un radicale dualismo anima-corpo, la cultura cristiana finì di fatto per svalutare la dimensione corporea, sottomettendola di fatto alla dimensione intellettuale e spirituale. Si deve attendere il movimento umanistico, che pure affonda le sue radici nel cristianesimo, ma in un cristianesimo al quale si affianca una nuova valutazione delle capacità umane, per ottenere una sostanziale pari dignità tra anima e corpo, come si evince dall’esame dei curricoli delle nuove scuole. Storicamente, come abbiamo detto in apertura di queste brevi considerazioni introduttive a questo lavoro, lo sport, la sua pratica e la sua cultura sono vicende relativamente recenti, se riferite alla loro nascita “moderna”. La “storia dello sport” non è infatti una narrazione che senza soluzione di continuità inizia da Olimpia e porta a Seul e Tokio, ma è la storia di eventi che, per quanto simili nel contenuto, sono stati vissuti con significati completamente diversi nelle diverse epoche storiche in cui sono apparsi o in quelle in cui sono stati rivitalizzanti: solo un atteggiamento veteropositivistico potrebbe infatti farci tracciare una linea retta (e magari ascensionale in quanto “progressiva” verso il meglio) dalle prime testimonianze di attività “sportive” dell’antico Egitto, le vivide immagini dei lottatori delle tombe di Ti e di Fta-hotep4, al mondo dello sport contemporaneo, al tempo stesso pratica di massa, business, fenomeno culturale e sociale di amplissima portata. Bisogna essere infatti coscienti del fatti che solo per assimilazione analogica, non priva di una inevitabile vena anacronistica, noi chiamiamo “sportivi” gli agoni ginnici ed ippici dell’antica Grecia, i ludi romani e i giochi di squadra con la palla del periodo medievale e rinascimentale. I primi erano però prima di tutto cerimonie religiose, o meglio, erano gare “sportive” inserite in una cornice religiosa che ne forniva anche la ragion d’essere: non c’era gioco che non derivasse da cerimonie funebri o religiose, che non fosse dedicato a qualche divinità, che non si svolgesse in una rigorosa sequenza di riti religiosi. Si badi bene che l’aspetto religioso non era accessorio o complementare: era lo loro essenza, come dimostra il fatto che, quando con l’imperatore Teodosio il cristianesimo divenne religione di stato, le Olimpiadi e tutti i giochi antichi furono immediatamente aboliti, in quanto percepiti dalla nuova coscienza religiosa cristiana come perniciosi riti pagani, e non come innocue e neutrali manifestazioni di atletismo. Anche i ludi romani presentano aspetti simili allo sport moderno, primo fra tutti l’enfasi sulla spettacolarizzazione dell’evento, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che questi erano spettacoli svolti principalmente da un numero ristretto di praticanti, sia da atleti professionisti, visto che l’agonistica ginnico-atletica era stata copiata dai Greci e adattata a giochi istituiti in età romana, sia da schiavi, e questo vale specialmente per i ludi gladiatorii, tipico prodotto della romanità, che ancora oggi suscita interrogativi inquietanti su una civiltà che, se da un lato dotava quella che poi sarebbe divenuta l’Europa di infrastrutture e strumenti culturali, dall’altro metteva in scena lo spettacolo della morte come valvola di sfogo delle tensioni sociali inconsce e per puri fini di divertimento. Speriamo che questa carrellata storica, questa specie di “macchina del tempo” applicata all’educazione fisica e allo sport, abbia creato le giuste premesse per apprezzare ancora di più un testo che si propone di fare accedere alle fonti dirette e alle loro più ravvicinate interpretazioni. Questo testo cerca di far vedere i problemi dell’educazione fisica e dello sport da un punto di vista genuinamente educativo, mettendo in luce l’assoluta necessità, per chi l’educazione fisica e lo sport vogliono insegnare, di operare pedagogicamente, cioè dotarsi di capacità riflessive sugli eventi educativi, sapendo andare oltre la loro immediatezza. Non basta più l’esperienza personale, che per quanto ricca risulta sempre limitata dalle circostanze uniche ed irripetibili che l’hanno generata: occorre una cultura pedagogica di riferimento per inquadrare in modo adeguato gli eventi educativi dei quali saremo protagonisti. Questo è uno dei motivi seri per i quali le discipline pedagogiche devono assolutamente essere mantenute e potenziate anche nei curricoli di base delle scienze motorie, per formare professionalità attente alla portata educativa dei comportamenti messi in atto.
2003
8000751941
CLEUP
ITALIA
Dal cacciatore neolitico al cavaliere templare. Autori e testi nella storia dell'educazione fisica e dei giochi sportivi dagli albori dell'umanità al tardo medioevo / Barbieri, Nicola. - 1:(2003), pp. 1-154.
Barbieri, Nicola
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Barbieri - antologia storia sport - 204 draft.pdf

Open access

Descrizione: testo in prima bozza
Tipologia: Versione originale dell'autore proposta per la pubblicazione
Dimensione 1.04 MB
Formato Adobe PDF
1.04 MB Adobe PDF Visualizza/Apri
Pubblicazioni consigliate

Licenza Creative Commons
I metadati presenti in IRIS UNIMORE sono rilasciati con licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal, mentre i file delle pubblicazioni sono rilasciati con licenza Attribuzione 4.0 Internazionale (CC BY 4.0), salvo diversa indicazione.
In caso di violazione di copyright, contattare Supporto Iris

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/462756
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact