Nella storia molti sono stati gli studiosi, i filosofi, gli scienziati e i medici che hanno contribuito alla conoscenza del dolore da vari punti di vista, etico, fisiopatologico e terapeutico; tuttavia, ancora oggi la corretta terapia del dolore resta una delle più importanti controversie della società in generale e della comunità scientifica e sanitaria in particolare. Combattere la sofferenza e dare sollievo alla persona malata significa migliorare la qualità della vita per la persona assistita, ma anche la qualità dell’assistenza. La cura del dolore, oltre che un dovere etico, è infatti una buona pratica clinica, il dolore infatti è un fenomeno patologico, che condiziona pesantemente la vita delle persone, con conseguenze sulla sfera psicologica, emotiva, relazionale. In Italia l’attenzione al problema “dolore” ha cominciato a svilupparsi soprattutto nel campo delle cure palliative, volte a garantire una dignità di fine vita, trattando le sofferenze fisiche e psicologiche dei malati terminali. Palliativo deriva dal termine latino pallium, che significava mantello, per sottolineare l’avvolgente presa in carico, proprio come un mantello, del dolore del malato con terapie mediche e psicologiche. L’inutilità del dolore da cancro, considerato una sofferenza fine a se stessa perché priva del ruolo di campanello d’allarme, e la sua insopportabilità, unite all’elevata incidenza e mortalità della malattia neoplastica in quegli anni, hanno spinto tanti clinici tra cui l’oncologo Umberto Veronesi, a quel tempo direttore generale dell’Istituto Nazionale dei Tumori dal 1975, e l’anestesiologo professor Vittorio Ventafridda, responsabile del Servizio di Terapia del Dolore e di Cure Palliative e direttore scientifico della Fondazione Floriani, a intraprendere una personale battaglia contro il dolore neoplastico. Dall’impegno di questi due clinici e con l’aiuto di altri colleghi, venne istituita anche la European Association for Palliative Care volta a diffondere le cure palliative in Europa. Le cure palliative, che racchiudevano in sé il concetto di terapia del dolore, hanno cominciato a organizzarsi negli anni ’80 con il preciso scopo di diffonderle e applicarle ai pazienti in fase terminale. Dal punto di vista legislativo le cure palliative e la terapia del dolore, a causa di non poche resistenze politiche e culturali, sono state recepite dal Governo e prese in considerazione dalle istituzioni solo negli anni ’90, grazie alla volontà delle organizzazioni non profit e agli stimoli provenienti dalle realtà internazionali più all’avanguardia in materia di assistenza. Da allora, l’opinione pubblica ha cominciato a far entrare nel proprio vocabolario le parole “cure palliative” e “terapia del dolore”. L’idea di indire una vera e propria lotta al dolore è nata, dunque, circa 50 anni fa dalla consapevolezza di alcuni medici illuminati di trovarsi di fronte a una duplice realtà: da un lato essi constatavano una globale arretratezza di pensiero nel considerare il dolore e dall’altro una mancata occasione di poterlo alleviare con farmaci oppiacei idonei a combatterlo. La maggior parte dei malati e dei loro familiari aveva infatti un atteggiamento di passiva accettazione della sofferenza, interpretata il più delle volte come una punizione o un fenomeno ineluttabile contro cui non bisognava ribellarsi, mentre i medici vivevano la sua insorgenza come una sconfitta professionale oltre che umana.

La legislazione del dolore e la sua applicazione in Italia: pregi e difetti / Sandri, Gilda. - Vol .3, n.1 Giornale Italiano di Reumatologia Clinica Speciale XX Congresso Nazionale Crei:(2017), pp. 15-19. (Intervento presentato al convegno XX Congresso Nazionale CRei tenutosi a Roma nel 27/29 aprile 2017).

La legislazione del dolore e la sua applicazione in Italia: pregi e difetti

SANDRI, Gilda
2017

Abstract

Nella storia molti sono stati gli studiosi, i filosofi, gli scienziati e i medici che hanno contribuito alla conoscenza del dolore da vari punti di vista, etico, fisiopatologico e terapeutico; tuttavia, ancora oggi la corretta terapia del dolore resta una delle più importanti controversie della società in generale e della comunità scientifica e sanitaria in particolare. Combattere la sofferenza e dare sollievo alla persona malata significa migliorare la qualità della vita per la persona assistita, ma anche la qualità dell’assistenza. La cura del dolore, oltre che un dovere etico, è infatti una buona pratica clinica, il dolore infatti è un fenomeno patologico, che condiziona pesantemente la vita delle persone, con conseguenze sulla sfera psicologica, emotiva, relazionale. In Italia l’attenzione al problema “dolore” ha cominciato a svilupparsi soprattutto nel campo delle cure palliative, volte a garantire una dignità di fine vita, trattando le sofferenze fisiche e psicologiche dei malati terminali. Palliativo deriva dal termine latino pallium, che significava mantello, per sottolineare l’avvolgente presa in carico, proprio come un mantello, del dolore del malato con terapie mediche e psicologiche. L’inutilità del dolore da cancro, considerato una sofferenza fine a se stessa perché priva del ruolo di campanello d’allarme, e la sua insopportabilità, unite all’elevata incidenza e mortalità della malattia neoplastica in quegli anni, hanno spinto tanti clinici tra cui l’oncologo Umberto Veronesi, a quel tempo direttore generale dell’Istituto Nazionale dei Tumori dal 1975, e l’anestesiologo professor Vittorio Ventafridda, responsabile del Servizio di Terapia del Dolore e di Cure Palliative e direttore scientifico della Fondazione Floriani, a intraprendere una personale battaglia contro il dolore neoplastico. Dall’impegno di questi due clinici e con l’aiuto di altri colleghi, venne istituita anche la European Association for Palliative Care volta a diffondere le cure palliative in Europa. Le cure palliative, che racchiudevano in sé il concetto di terapia del dolore, hanno cominciato a organizzarsi negli anni ’80 con il preciso scopo di diffonderle e applicarle ai pazienti in fase terminale. Dal punto di vista legislativo le cure palliative e la terapia del dolore, a causa di non poche resistenze politiche e culturali, sono state recepite dal Governo e prese in considerazione dalle istituzioni solo negli anni ’90, grazie alla volontà delle organizzazioni non profit e agli stimoli provenienti dalle realtà internazionali più all’avanguardia in materia di assistenza. Da allora, l’opinione pubblica ha cominciato a far entrare nel proprio vocabolario le parole “cure palliative” e “terapia del dolore”. L’idea di indire una vera e propria lotta al dolore è nata, dunque, circa 50 anni fa dalla consapevolezza di alcuni medici illuminati di trovarsi di fronte a una duplice realtà: da un lato essi constatavano una globale arretratezza di pensiero nel considerare il dolore e dall’altro una mancata occasione di poterlo alleviare con farmaci oppiacei idonei a combatterlo. La maggior parte dei malati e dei loro familiari aveva infatti un atteggiamento di passiva accettazione della sofferenza, interpretata il più delle volte come una punizione o un fenomeno ineluttabile contro cui non bisognava ribellarsi, mentre i medici vivevano la sua insorgenza come una sconfitta professionale oltre che umana.
2017
XX Congresso Nazionale CRei
Roma
27/29 aprile 2017
Vol .3, n.1 Giornale Italiano di Reumatologia Clinica Speciale XX Congresso Nazionale Crei
15
19
Sandri, Gilda
La legislazione del dolore e la sua applicazione in Italia: pregi e difetti / Sandri, Gilda. - Vol .3, n.1 Giornale Italiano di Reumatologia Clinica Speciale XX Congresso Nazionale Crei:(2017), pp. 15-19. (Intervento presentato al convegno XX Congresso Nazionale CRei tenutosi a Roma nel 27/29 aprile 2017).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/1143372
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