Il numero di Ocula che presentiamo è dedicato alla tensione al cinema, con particolare riguardo a tutti quegli elementi che in un film producono effetti di tensione nello spettatore: dal dispiegamento narrativo della trama, alla regia, al montaggio e a tutto ciò che in un film ne costituisce la specificità di testo sincretico. Come si vede dalla varietà degli articoli che compongono questo numero di Ocula, si tratta di un tema su cui lo spettatore appassionato e attento e, allo stesso tempo, lo studioso dei meccanismi della significazione, non può fare a meno di interrogarsi. Molte delle scene che ciascuno di noi ricorda nei film sono sequenze cariche di tensione che inevitabilmente ci hanno colpito proprio a partire dall’intensità che abbiamo percepito nel ritmo di un’azione - o anche solo di uno sguardo - nella suspense creata da una sequenza paurosa, drammatica, amorosa e tanto altro ancora. Ci sono sequenze cinematografiche memorabili in film non sempre degni di nota, e sono quelle sequenze in cui, per qualche ragione, non siamo riusciti a staccare gli occhi dallo schermo e siamo rimasti col fiato sospeso. In questi casi capita di volerne sapere di più e di interrogarsi sulle ragioni per cui una scena ci sia rimasta tanto impressa per la propria intensità. Interrogandosi di volta in volta si può notare, ad esempio, che è l’organizzazione della struttura narrativa profonda amplificata dalla colonna sonora a creare una certa tensione nello spettatore (ad esempio il ritmo e la cadenza della conclusione di programmi narrativi, i pivot narrativi, l’alternanza tra programmi e antiprogrammi) ; oppure l’uso insolito delle inquadrature (montate velocemente in sovrapposizione, o rallentate in una temporalità e con una grammatica non abituale) ; o l’uso del sonoro; o ancora l’alternanza volutamente confusa del punto di vista. In ciascuno di questi casi, le strategie d’enunciazione messe in atto in un film, e lo stesso montaggio degli elementi visivi e sonori sono sempre essenziali nella costruzione del ritmo tensivo, spesso parallelo al ritmo semionarrativo. Per questo da semplici spettatori siamo in difficoltà se cerchiamo di capire esattamente cosa ci abbia provocato tanta tensione durante la visione di un film, isolando i singoli elementi senza considerare il sincretismo che li relaziona alimentandoli e potenziandoli l’un l’altro. Questo perché il piano dell’espressione e il piano del contenuto, nel film, sono strettamente connessi nella complessità del sincretismo che caratterizza il testo audiovisivo. “La tensione al cinema” è un’etichetta generica per descrivere modi di produzione e di ricezione delle sequenze cinematografiche: in termini generali ha a che fare con il ritmo e la temporalità. La scelta di un titolo così generale per questo numero di Ocula è andata nella direzione che auspicavamo. Infatti il numero è costituito da diversi saggi di autori che articolano e declinano il tema affrontando sia degli aspetti “macro” della teoria del cinema, che degli aspetti “micro” che si focalizzano su esempi specifici a partire dalla classificazione di elementi del piano dell’espressione o del piano del contenuto. Il primo articolo che presentiamo è quello di Alessandro Zinna che suggerisce delle ipotesi teoriche generali sugli effetti tensivi, partendo dall’analisi di un film che l’autore indica come uno dei precursori di un nuovo genere , il “new thriller”: si tratta di Seven di Fincher insieme a I soliti sospetti di Singer e Il silenzio degli innocenti di Demme, accomunati da un regista che si cala nel ruolo del cattivo, un protagonista che sembra scrivere il copione del film dominando con volontà e onnipotenza la successione degli eventi. La tensione di questi film gioca intorno al ruolo dell’antieroe e l’andamento ritmico è caratterizzato dal modo in cui vengono dosate e costruite la suspense e la sorpresa. L’articolo di Nicola Dusi si concentra su problemi di "efficacia simbolica" e di "effetti di presenza" a partire dalle trasformazioni affettive e tensive dello spettatore di tre film molto diversi tra loro: Il deserto dei Tartari di Zurlini, una trasposizione che riprende l'universo figurativo di Buzzati distaccandosene a partire dai modi ritmici e figurali; Jesus Christ Superstar di Jewison, un film che rinvia all’opera lirica e alla pittura mettendo comunque in scena un forte coinvolgimento dello spettatore grazie all’efficacia simbolica tra musical e pittura; e, infine, Paranoid Park di Vas Sant, un film sulle acrobazie degli skaters che ne insegue il ritmo scardinando le attese dello spettatore. Una prospettiva differente è quella di Valentina Miraglia che, con l’analisi de La “scena dell’incendio” nel film Sacrificatio d’A.Tarkovski suggerisce una riflessione sulle diverse modalità del concetto di tensione se si analizza il film a partire del dispositivo dell’enunciazione, in altri termini dall’esperienza delle riprese (annessi incidenti e variazioni di percorso), inevitabilmente diverse dal risultato del montaggio. L’analisi di Marco Pondrelli di tre sequenze di Wall street di Stone mostra come il motore del film sia la tensione che si crea a partire da contesti inconcicliabili. L’autore indica queste sequenze come una monade e suggerisce come attraverso esse sia possibile ricostruire il senso di Wall Street basato sulla contrapposizione di due mondi che rappresentano le possibilità di scelta del protagonista. Pondrelli supporta la propria ipotesi con l’analisi dell’uso di luce, colori, rumore e inquadrature. Maria Antonia Manetta analizza l’opera di Peter Greenaway, in particolare il progetto multimediale Le valigie di Tulse Luper con alcuni riferimenti a L’ultima Tempesta e a I racconti del cuscino. L’autrice si avvale della semiotica plastica di Floch, della semiotica tensiva di Fontanille e Zilberberg, ma anche degli studi sui nuovi media a partire dal concetto di rimediazione di Bolter e Grousin, così come della riflessione sul cinema digitale di Manovich, pur senza dimenticare il contributo di Ejzenstejn sul montaggio e sull’importanza del pathos nella costruzione di un film. Antonio Magrì ci propone un’analisi comparativa fra Blob, il cult movie del 1958, film di Yeaworth e l’omonima trasmissione televisiva italiana. L’autore individua gli elementi tensivi dell’opera sullo spettatore, esterno ed interno, del film, così come quelli di una una puntata della trasmissione. Magrì mostra inoltre l’effetto metaforico e metatestuale del film non soltanto come strategia narrativa - per complicare il rapporto di illusione finzione/realtà aumentando la tensione del suo spettatore - ma anche grazie all’uso sapiente della tecnica e del linguaggio cinematografico. Alessandro Catania propone l’analisi delle tensioni narrative nei testi seriali come i trailer delle saghe, in particolare quelli di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo di Spielberg e quello di Star Wars; Episodio III di Lucas. Il ritmo e le tensioni caratterizzano i testi seriali e l’autore analizza la creazione di dinamiche tensive, intensive e detensive modulando l’esperienza dello spettatore attraverso pause narrative e ripetizioni. Inoltre, gli esempi scelti si riferiscono a saghe che hanno avuto lunghe pause tra un episodio e l’altro, per questo l’autore mostra le modalità e le strategie di riattivazione di macroframe narrativi (attraverso la colonna sonora, la presenza di protagonisti e di stereotipi figurativi) che sottolineano comunque in maniera evidente la temporalità. Il numero si conclude con l’articolo di Francesco Galofaro che propone un aspetto toccato solo marginalmente da altri autori del numero ma mai prevalente nell’analisi della tensione al cinema: si tratta della colonna sonora. In particolare, in questo caso si tratta de La colonna sonora in Eyes Wide Shut di Kubrick. L’autore analizza il ruolo della scelta musicale, ma anche della funzione della musica stessa, nell’arco di tutto il film, in particolare in alcune sequenze. La musica assume di volta in volta un ruolo interpretativo, ironico, suggestivo, soggettivo/oggettivo di difficile collocazione che, in tutti i casi, per Galofaro, sta alla base del senso onirico complessivo del film. Hanno collaborato a questo numero: Alessandro Catania, Nicola Dusi, Francesco Galofaro, Antonio Magrì, Maria Antonia Manetta, Valentina Miraglia, Federico Montanari, Marco Pondrelli, Alessandro Zinna.

Tensioni nel cinema (numero speciale della rivista online Ocula: www.ocula.it / Montanari, Federico. - In: OCULA. - ISSN 1724-7810. - (2009). [10.12977/ocula]

Tensioni nel cinema (numero speciale della rivista online Ocula: www.ocula.it

MONTANARI, FEDERICO
2009

Abstract

Il numero di Ocula che presentiamo è dedicato alla tensione al cinema, con particolare riguardo a tutti quegli elementi che in un film producono effetti di tensione nello spettatore: dal dispiegamento narrativo della trama, alla regia, al montaggio e a tutto ciò che in un film ne costituisce la specificità di testo sincretico. Come si vede dalla varietà degli articoli che compongono questo numero di Ocula, si tratta di un tema su cui lo spettatore appassionato e attento e, allo stesso tempo, lo studioso dei meccanismi della significazione, non può fare a meno di interrogarsi. Molte delle scene che ciascuno di noi ricorda nei film sono sequenze cariche di tensione che inevitabilmente ci hanno colpito proprio a partire dall’intensità che abbiamo percepito nel ritmo di un’azione - o anche solo di uno sguardo - nella suspense creata da una sequenza paurosa, drammatica, amorosa e tanto altro ancora. Ci sono sequenze cinematografiche memorabili in film non sempre degni di nota, e sono quelle sequenze in cui, per qualche ragione, non siamo riusciti a staccare gli occhi dallo schermo e siamo rimasti col fiato sospeso. In questi casi capita di volerne sapere di più e di interrogarsi sulle ragioni per cui una scena ci sia rimasta tanto impressa per la propria intensità. Interrogandosi di volta in volta si può notare, ad esempio, che è l’organizzazione della struttura narrativa profonda amplificata dalla colonna sonora a creare una certa tensione nello spettatore (ad esempio il ritmo e la cadenza della conclusione di programmi narrativi, i pivot narrativi, l’alternanza tra programmi e antiprogrammi) ; oppure l’uso insolito delle inquadrature (montate velocemente in sovrapposizione, o rallentate in una temporalità e con una grammatica non abituale) ; o l’uso del sonoro; o ancora l’alternanza volutamente confusa del punto di vista. In ciascuno di questi casi, le strategie d’enunciazione messe in atto in un film, e lo stesso montaggio degli elementi visivi e sonori sono sempre essenziali nella costruzione del ritmo tensivo, spesso parallelo al ritmo semionarrativo. Per questo da semplici spettatori siamo in difficoltà se cerchiamo di capire esattamente cosa ci abbia provocato tanta tensione durante la visione di un film, isolando i singoli elementi senza considerare il sincretismo che li relaziona alimentandoli e potenziandoli l’un l’altro. Questo perché il piano dell’espressione e il piano del contenuto, nel film, sono strettamente connessi nella complessità del sincretismo che caratterizza il testo audiovisivo. “La tensione al cinema” è un’etichetta generica per descrivere modi di produzione e di ricezione delle sequenze cinematografiche: in termini generali ha a che fare con il ritmo e la temporalità. La scelta di un titolo così generale per questo numero di Ocula è andata nella direzione che auspicavamo. Infatti il numero è costituito da diversi saggi di autori che articolano e declinano il tema affrontando sia degli aspetti “macro” della teoria del cinema, che degli aspetti “micro” che si focalizzano su esempi specifici a partire dalla classificazione di elementi del piano dell’espressione o del piano del contenuto. Il primo articolo che presentiamo è quello di Alessandro Zinna che suggerisce delle ipotesi teoriche generali sugli effetti tensivi, partendo dall’analisi di un film che l’autore indica come uno dei precursori di un nuovo genere , il “new thriller”: si tratta di Seven di Fincher insieme a I soliti sospetti di Singer e Il silenzio degli innocenti di Demme, accomunati da un regista che si cala nel ruolo del cattivo, un protagonista che sembra scrivere il copione del film dominando con volontà e onnipotenza la successione degli eventi. La tensione di questi film gioca intorno al ruolo dell’antieroe e l’andamento ritmico è caratterizzato dal modo in cui vengono dosate e costruite la suspense e la sorpresa. L’articolo di Nicola Dusi si concentra su problemi di "efficacia simbolica" e di "effetti di presenza" a partire dalle trasformazioni affettive e tensive dello spettatore di tre film molto diversi tra loro: Il deserto dei Tartari di Zurlini, una trasposizione che riprende l'universo figurativo di Buzzati distaccandosene a partire dai modi ritmici e figurali; Jesus Christ Superstar di Jewison, un film che rinvia all’opera lirica e alla pittura mettendo comunque in scena un forte coinvolgimento dello spettatore grazie all’efficacia simbolica tra musical e pittura; e, infine, Paranoid Park di Vas Sant, un film sulle acrobazie degli skaters che ne insegue il ritmo scardinando le attese dello spettatore. Una prospettiva differente è quella di Valentina Miraglia che, con l’analisi de La “scena dell’incendio” nel film Sacrificatio d’A.Tarkovski suggerisce una riflessione sulle diverse modalità del concetto di tensione se si analizza il film a partire del dispositivo dell’enunciazione, in altri termini dall’esperienza delle riprese (annessi incidenti e variazioni di percorso), inevitabilmente diverse dal risultato del montaggio. L’analisi di Marco Pondrelli di tre sequenze di Wall street di Stone mostra come il motore del film sia la tensione che si crea a partire da contesti inconcicliabili. L’autore indica queste sequenze come una monade e suggerisce come attraverso esse sia possibile ricostruire il senso di Wall Street basato sulla contrapposizione di due mondi che rappresentano le possibilità di scelta del protagonista. Pondrelli supporta la propria ipotesi con l’analisi dell’uso di luce, colori, rumore e inquadrature. Maria Antonia Manetta analizza l’opera di Peter Greenaway, in particolare il progetto multimediale Le valigie di Tulse Luper con alcuni riferimenti a L’ultima Tempesta e a I racconti del cuscino. L’autrice si avvale della semiotica plastica di Floch, della semiotica tensiva di Fontanille e Zilberberg, ma anche degli studi sui nuovi media a partire dal concetto di rimediazione di Bolter e Grousin, così come della riflessione sul cinema digitale di Manovich, pur senza dimenticare il contributo di Ejzenstejn sul montaggio e sull’importanza del pathos nella costruzione di un film. Antonio Magrì ci propone un’analisi comparativa fra Blob, il cult movie del 1958, film di Yeaworth e l’omonima trasmissione televisiva italiana. L’autore individua gli elementi tensivi dell’opera sullo spettatore, esterno ed interno, del film, così come quelli di una una puntata della trasmissione. Magrì mostra inoltre l’effetto metaforico e metatestuale del film non soltanto come strategia narrativa - per complicare il rapporto di illusione finzione/realtà aumentando la tensione del suo spettatore - ma anche grazie all’uso sapiente della tecnica e del linguaggio cinematografico. Alessandro Catania propone l’analisi delle tensioni narrative nei testi seriali come i trailer delle saghe, in particolare quelli di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo di Spielberg e quello di Star Wars; Episodio III di Lucas. Il ritmo e le tensioni caratterizzano i testi seriali e l’autore analizza la creazione di dinamiche tensive, intensive e detensive modulando l’esperienza dello spettatore attraverso pause narrative e ripetizioni. Inoltre, gli esempi scelti si riferiscono a saghe che hanno avuto lunghe pause tra un episodio e l’altro, per questo l’autore mostra le modalità e le strategie di riattivazione di macroframe narrativi (attraverso la colonna sonora, la presenza di protagonisti e di stereotipi figurativi) che sottolineano comunque in maniera evidente la temporalità. Il numero si conclude con l’articolo di Francesco Galofaro che propone un aspetto toccato solo marginalmente da altri autori del numero ma mai prevalente nell’analisi della tensione al cinema: si tratta della colonna sonora. In particolare, in questo caso si tratta de La colonna sonora in Eyes Wide Shut di Kubrick. L’autore analizza il ruolo della scelta musicale, ma anche della funzione della musica stessa, nell’arco di tutto il film, in particolare in alcune sequenze. La musica assume di volta in volta un ruolo interpretativo, ironico, suggestivo, soggettivo/oggettivo di difficile collocazione che, in tutti i casi, per Galofaro, sta alla base del senso onirico complessivo del film. Hanno collaborato a questo numero: Alessandro Catania, Nicola Dusi, Francesco Galofaro, Antonio Magrì, Maria Antonia Manetta, Valentina Miraglia, Federico Montanari, Marco Pondrelli, Alessandro Zinna.
2009
Ocula rivista Online
ITALIA
Tensioni nel cinema (numero speciale della rivista online Ocula: www.ocula.it / Montanari, Federico. - In: OCULA. - ISSN 1724-7810. - (2009). [10.12977/ocula]
Montanari, Federico
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