Tradizionalmente l’introduzione della coltivazione della vite in Italia viene fatta risalire ad un momento inoltrato della prima età del Ferro (VIII sec. a.C.), in relazione con le prime colonie greche dell’ Italia meridionale. Tuttavia alcuni recenti rinvenimenti pertinenti a vinaccioli in contesti dell’età della fase avanzata del Bronzo Medio e/o del Bronzo Recente dell’Italia continentale e della Sardegna fanno supporre che l’avvio di una coltivazione della vite possa essere anticipata di diversi secoli e non sia stata l’esito di contatti con le colonie della Magna Grecia. Inoltre la presenza di evidenze archeologiche legate al consumo di bevande verosimilmente fermentate cresce in modo significativo nel corso del Bronzo Medio e soprattutto nel Bronzo Recente, come dimostrano l’aumento esponenziale delle tazze munite di anse atte ad attingere e di vasi di norma messi in relazione a processi di produzione o filtraggio di bevande, fra cui il famoso colino bronzeo da Peschiera. Associazioni di reperti archeologici di questo tipo provengono anche da contesti rituali quali l’area cerimoniale individuata nella necropoli di Casinalbo, in cui probabilmente erano praticate libagioni correlate al rito funerario. Durante gli scavi condotti nella Terramara di Montale (1996–2001) è stato possibile recuperare una notevole quantità di resti carpologici grazie all’uso sistematico della flottazione durante lo scavo. La concentrazione significativa di vinaccioli comincia nella fase stratigrafica VIII B, databile ad un momento molto tardo del Bronzo Medio (BM 3b) con una datazione radiocarbonica a 3130±30 (calibrata 68,2%: 1438 -1321 BC) e si rafforza decisamente nella fase iniziale del Bronzo Recente (fasi stratigrafiche IX e X con datazioni radiocarboniche calibrate datate al più tardi all’inizio del XIII sec. a.C.). Nello scavo della Terramara di Montale sono stati rinvenuti quasi 80.000 semi/frutti su 16000 l di materiale setacciato. Il deposito appare decisamente dominato dai cereali (98%) ma circa una trentina di taxa al di fuori di questa categoria testimoniano una discreta varietà soprattutto tra le piante alimentari. Un aspetto interessante dell’assemblaggio carpologico del sito è la presenza costante in tutte le fasi del deposito di endocarpi di corniolo (Cornus mas), che tuttavia hanno una concentrazione minima nelle ultime due fasi di vita della terramara (IX e X), quando si assiste invece ad un incremento notevole di vinaccioli di vite (Vitis vinifera), fino a quel momento presenza sporadica e di poco impatto. Questo fatto fa supporre una sorta di “passaggio di testimone” fra i due taxa, entrambi impiegati nella produzione di bevande fermentate, come documentato in diversi siti più antichi e lontani o supposto per siti coevi e vicini. La buona presenza nel deposito di vinaccioli, rinvenuti per lo più integri e non carbonizzati (in qualche caso solo lambiti dal fuoco), ha fatto intraprendere, durante le analisi dei materiali del sito tra la fine degli anni ’90 e primi anni Duemila, un lavoro approfondito di misure morfo-biometriche sui vinaccioli stessi , per cercare di evidenziare se ci si trovava in presenza di vite selvatica o coltivata. Sono stati presi in considerazione, sui 210 vinaccioli rinvenuti (di cui 166 presenti nelle fasi IX e X), 152 reperti idonei per le analisi (dalla VII al X fase del sito), utilizzando 14 parametri morfobiometrici per arrivare a calcolare gli indici proposti da Stummer, Perret e Mangafa & Kotsakis. La distinzione fra vite selvatica e vite coltivata è un argomento che appassiona archeologi e archeobotanici da sempre; con l’elaborazione negli anni ’90 di nuovi indici si pensò di poter dare risposte più chiare sulla questione, come dimostra l’elevato numero di lavori usciti negli stessi anni sul tema sia in ambito nazionale che internazionale. Purtroppo nel nostro caso questo lavoro, lungo e laborioso, portò al risultato che, secondo gli indici utilizzati, la maggioranza dei vinaccioli di Montale mostravano caratteri intermedi fra vite coltivata e spontanea; solo con l’indice di Perret circa la metà dei reperti ricadeva nel campo della vite coltivata. Non venivano quindi forniti forti elementi discriminanti utili per ragionare sull’inizio della coltivazione della vite e della vinificazione nel Nord Italia. La vite ritrovata a Montale venne definita “in fermento”, con piante molto probabilmente sottoposte a cure antropiche, ma senza la certezza di trovarsi al cospetto di viticoltura vera e propria. Negli ultimi anni, l'uso dell’Analisi Discriminante Lineare (LDA) ha permesso di discriminare semi di specie selvatiche da quelle coltivate, anche tra cultivar della stessa specie. Attraverso l’analisi digitale dei semi, è possibile estrapolare differenti parametri morfometrici che posti in opportuni classificatori statistici, consentono di discriminare i campioni grazie alla possibilità di confrontarli con i taxa attuali. Questa metodologia, oltre ad essere una tecnica non distruttiva, è considerata un ottimo strumento per verificare lo stato di domesticazione della vite in studi archeobotanici; quindi, i vinaccioli provenienti da Montale sono stati sottoposti a indagine morfometrica con l’obiettivo di verificare se siano appartenuti alla vite selvatica (Vitis vinifera subsp. sylvestris) o alla coltivata (Vitis vinifera subsp. vinifera). Per questo studio sono stati presi in considerazione 100 vinaccioli che presentavano caratteristiche idonee per questa tipologia di analisi (integrità totale del seme e assenza di eventuali distorsioni dovute alla esposizione a fonti di calore). I materiali moderni utilizzati per i confronti morfometrici sono rappresentati da un totale di 30 accessioni di vite coltivata e 10 accessioni di vite selvatica, per un totale di 4655 semi per le coltivate e 1346 per le selvatiche. Le immagini digitali dei semi sono state acquisite attraverso uno scanner piano, con una risoluzione digitale di 400 dpi per una superficie di scansione non superiore a 1024 × 1024 pixel. Per rappresentare l'intera variabilità, i campioni sono stati acquisiti due volte disponendoli sul lato ventrale e dorsale. Le immagini sono state elaborate e analizzate utilizzando il software ImageJ v. 1.49. Per acquisire i parametri morfometrici è stato utilizzato il plugin Particles8 , che consente di estrapolare 26 parametri morfometrici. Ulteriori 80 descrittori ellittici di Fourier (EFD) sono stati calcolati utilizzando il software open source SHAPE, consentendo così di utilizzare un totale di 106 valori. I dati morfometrici estrapolati dai vinaccioli archeologici di Montale sono stati inseriti nella banca dati in cui sono presenti le caratteristiche morfometriche delle uve selvatiche e coltivate moderne. Le analisi statistiche sono state eseguite attraverso il metodo LDA (Linear Discriminant Analysis) utilizzando il software SPSS 15.0 (SPSS inc. 2006) inserendo all’interno del database i vinaccioli di Montale come accessioni sconosciute e confrontati con quelle relative alle uve attuali. Questa metodologia è ampiamente utilizzata per la classificazione e l’identificazione di gruppi sconosciuti. Un primo confronto morfometrico è stato effettuato sui gruppi di vinaccioli cronologicamente assegnati al Bronzo medio e al Bronzo recente. Entrambi i lotti sono stati classificati con una percentuale complessiva del 92%. Questo confronto ha evidenziato che il gruppo dei vinaccioli ritrovati nelle unità stratigrafiche relative al Bronzo medio 3b sono risultati molto simili ai vinaccioli relativi al Bronzo recente 1. Il confronto morfometrico non ha rilevato una sostanziale differenza tra i due gruppi. Considerando il risultato precedente, un secondo confronto è stato effettuato tra i vinaccioli di Montale, considerati come un unico gruppo, e il gruppo delle coltivate e delle selvatiche moderne. La corretta percentuale di classificazione è stata del 89,1%. Le analisi hanno permesso di classificare correttamente il gruppo di Montale con una percentuale del 75,5% sul gruppo delle coltivate e una piccola percentuale pari al 24,5% come selvatiche. Le analisi morfometriche applicate ai vinaccioli di Montale ha permesso di ottenere informazioni preziose sulla gestione delle risorse vegetali duranti l’Età del Bronzo recente in Emilia, ed in particolare sulla possibilità che le comunità vissute a Montale avessero già iniziato una gestione consapevole della vite. L’alta percentuale di vinaccioli identificati come coltivati infatti confermerebbe che in Italia già durante il Bronzo Recente le comunità umane iniziarono la coltivazione dell’uva. Questo dato è stato riscontrato anche in un recente lavoro sullo studio dei vinaccioli ritrovati all’interno di un pozzo datato tra la media Età del Bronzo e il Bronzo recente in Sardegna, in cui si evidenzia che la maggior parte di questi vinaccioli appartenevano a varietà coltivate. La comparsa a Montale di vite, in gran parte considerabile coltivata, può essere messa in relazione con altri contesti coevi dove si manifesta una analoga evidenza e forse può essere connessa all’aumento dei traffici con l’Egeo e con il Mediterraneo orientale, e più in generale all’impressionante mole di scambi che caratterizza l’Europa tra XIV e inizio XII secolo a.C. In questo periodo aumenta infatti significativamente in Italia l’importazione di ceramica egea, prevalentemente da mensa, e addirittura si afferma la produzione locale di ceramica italo-micenea (e ceramica grigia tornita in Italia meridionale), destinata soprattutto al “banchetto”, mentre la produzione di oggetti in bronzo, compresi vasi laminati, denota una koiné che include gran parte del continente europeo e arriva a toccare l’Egeo. È possibile che in questo nuovo contesto l’uso del “vino” abbia assunto una valenza culturale e sociale preminente, sostituendo più antiche bevande fermentate, come ad esempio quella ricavabile dal corniolo, attestato abbondantemente a Montale nelle fasi precedenti.

Vino o non vino? Nuovi dati sui vinaccioli della Terramara di Montale (Modena) tra la fine della media etaà del Bronzo e il Bronzo recente / Cardarelli, Andrea; Bosi, Giovanna; Rinaldi, Rossella; Ucchesu, M.; Bacchetta, G.. - ELETTRONICO. - (2015), pp. 1-9. (Intervento presentato al convegno 50ma Riunione IIPP “Preistoria del cibo. L’alimentazione nella preistoria e nella protostoria”, Roma, 5-9 Ottobre 2015. tenutosi a Roma nel 5-9 Ottobre 2015).

Vino o non vino? Nuovi dati sui vinaccioli della Terramara di Montale (Modena) tra la fine della media etaà del Bronzo e il Bronzo recente

CARDARELLI, Andrea;BOSI, Giovanna;RINALDI, ROSSELLA;
2015

Abstract

Tradizionalmente l’introduzione della coltivazione della vite in Italia viene fatta risalire ad un momento inoltrato della prima età del Ferro (VIII sec. a.C.), in relazione con le prime colonie greche dell’ Italia meridionale. Tuttavia alcuni recenti rinvenimenti pertinenti a vinaccioli in contesti dell’età della fase avanzata del Bronzo Medio e/o del Bronzo Recente dell’Italia continentale e della Sardegna fanno supporre che l’avvio di una coltivazione della vite possa essere anticipata di diversi secoli e non sia stata l’esito di contatti con le colonie della Magna Grecia. Inoltre la presenza di evidenze archeologiche legate al consumo di bevande verosimilmente fermentate cresce in modo significativo nel corso del Bronzo Medio e soprattutto nel Bronzo Recente, come dimostrano l’aumento esponenziale delle tazze munite di anse atte ad attingere e di vasi di norma messi in relazione a processi di produzione o filtraggio di bevande, fra cui il famoso colino bronzeo da Peschiera. Associazioni di reperti archeologici di questo tipo provengono anche da contesti rituali quali l’area cerimoniale individuata nella necropoli di Casinalbo, in cui probabilmente erano praticate libagioni correlate al rito funerario. Durante gli scavi condotti nella Terramara di Montale (1996–2001) è stato possibile recuperare una notevole quantità di resti carpologici grazie all’uso sistematico della flottazione durante lo scavo. La concentrazione significativa di vinaccioli comincia nella fase stratigrafica VIII B, databile ad un momento molto tardo del Bronzo Medio (BM 3b) con una datazione radiocarbonica a 3130±30 (calibrata 68,2%: 1438 -1321 BC) e si rafforza decisamente nella fase iniziale del Bronzo Recente (fasi stratigrafiche IX e X con datazioni radiocarboniche calibrate datate al più tardi all’inizio del XIII sec. a.C.). Nello scavo della Terramara di Montale sono stati rinvenuti quasi 80.000 semi/frutti su 16000 l di materiale setacciato. Il deposito appare decisamente dominato dai cereali (98%) ma circa una trentina di taxa al di fuori di questa categoria testimoniano una discreta varietà soprattutto tra le piante alimentari. Un aspetto interessante dell’assemblaggio carpologico del sito è la presenza costante in tutte le fasi del deposito di endocarpi di corniolo (Cornus mas), che tuttavia hanno una concentrazione minima nelle ultime due fasi di vita della terramara (IX e X), quando si assiste invece ad un incremento notevole di vinaccioli di vite (Vitis vinifera), fino a quel momento presenza sporadica e di poco impatto. Questo fatto fa supporre una sorta di “passaggio di testimone” fra i due taxa, entrambi impiegati nella produzione di bevande fermentate, come documentato in diversi siti più antichi e lontani o supposto per siti coevi e vicini. La buona presenza nel deposito di vinaccioli, rinvenuti per lo più integri e non carbonizzati (in qualche caso solo lambiti dal fuoco), ha fatto intraprendere, durante le analisi dei materiali del sito tra la fine degli anni ’90 e primi anni Duemila, un lavoro approfondito di misure morfo-biometriche sui vinaccioli stessi , per cercare di evidenziare se ci si trovava in presenza di vite selvatica o coltivata. Sono stati presi in considerazione, sui 210 vinaccioli rinvenuti (di cui 166 presenti nelle fasi IX e X), 152 reperti idonei per le analisi (dalla VII al X fase del sito), utilizzando 14 parametri morfobiometrici per arrivare a calcolare gli indici proposti da Stummer, Perret e Mangafa & Kotsakis. La distinzione fra vite selvatica e vite coltivata è un argomento che appassiona archeologi e archeobotanici da sempre; con l’elaborazione negli anni ’90 di nuovi indici si pensò di poter dare risposte più chiare sulla questione, come dimostra l’elevato numero di lavori usciti negli stessi anni sul tema sia in ambito nazionale che internazionale. Purtroppo nel nostro caso questo lavoro, lungo e laborioso, portò al risultato che, secondo gli indici utilizzati, la maggioranza dei vinaccioli di Montale mostravano caratteri intermedi fra vite coltivata e spontanea; solo con l’indice di Perret circa la metà dei reperti ricadeva nel campo della vite coltivata. Non venivano quindi forniti forti elementi discriminanti utili per ragionare sull’inizio della coltivazione della vite e della vinificazione nel Nord Italia. La vite ritrovata a Montale venne definita “in fermento”, con piante molto probabilmente sottoposte a cure antropiche, ma senza la certezza di trovarsi al cospetto di viticoltura vera e propria. Negli ultimi anni, l'uso dell’Analisi Discriminante Lineare (LDA) ha permesso di discriminare semi di specie selvatiche da quelle coltivate, anche tra cultivar della stessa specie. Attraverso l’analisi digitale dei semi, è possibile estrapolare differenti parametri morfometrici che posti in opportuni classificatori statistici, consentono di discriminare i campioni grazie alla possibilità di confrontarli con i taxa attuali. Questa metodologia, oltre ad essere una tecnica non distruttiva, è considerata un ottimo strumento per verificare lo stato di domesticazione della vite in studi archeobotanici; quindi, i vinaccioli provenienti da Montale sono stati sottoposti a indagine morfometrica con l’obiettivo di verificare se siano appartenuti alla vite selvatica (Vitis vinifera subsp. sylvestris) o alla coltivata (Vitis vinifera subsp. vinifera). Per questo studio sono stati presi in considerazione 100 vinaccioli che presentavano caratteristiche idonee per questa tipologia di analisi (integrità totale del seme e assenza di eventuali distorsioni dovute alla esposizione a fonti di calore). I materiali moderni utilizzati per i confronti morfometrici sono rappresentati da un totale di 30 accessioni di vite coltivata e 10 accessioni di vite selvatica, per un totale di 4655 semi per le coltivate e 1346 per le selvatiche. Le immagini digitali dei semi sono state acquisite attraverso uno scanner piano, con una risoluzione digitale di 400 dpi per una superficie di scansione non superiore a 1024 × 1024 pixel. Per rappresentare l'intera variabilità, i campioni sono stati acquisiti due volte disponendoli sul lato ventrale e dorsale. Le immagini sono state elaborate e analizzate utilizzando il software ImageJ v. 1.49. Per acquisire i parametri morfometrici è stato utilizzato il plugin Particles8 , che consente di estrapolare 26 parametri morfometrici. Ulteriori 80 descrittori ellittici di Fourier (EFD) sono stati calcolati utilizzando il software open source SHAPE, consentendo così di utilizzare un totale di 106 valori. I dati morfometrici estrapolati dai vinaccioli archeologici di Montale sono stati inseriti nella banca dati in cui sono presenti le caratteristiche morfometriche delle uve selvatiche e coltivate moderne. Le analisi statistiche sono state eseguite attraverso il metodo LDA (Linear Discriminant Analysis) utilizzando il software SPSS 15.0 (SPSS inc. 2006) inserendo all’interno del database i vinaccioli di Montale come accessioni sconosciute e confrontati con quelle relative alle uve attuali. Questa metodologia è ampiamente utilizzata per la classificazione e l’identificazione di gruppi sconosciuti. Un primo confronto morfometrico è stato effettuato sui gruppi di vinaccioli cronologicamente assegnati al Bronzo medio e al Bronzo recente. Entrambi i lotti sono stati classificati con una percentuale complessiva del 92%. Questo confronto ha evidenziato che il gruppo dei vinaccioli ritrovati nelle unità stratigrafiche relative al Bronzo medio 3b sono risultati molto simili ai vinaccioli relativi al Bronzo recente 1. Il confronto morfometrico non ha rilevato una sostanziale differenza tra i due gruppi. Considerando il risultato precedente, un secondo confronto è stato effettuato tra i vinaccioli di Montale, considerati come un unico gruppo, e il gruppo delle coltivate e delle selvatiche moderne. La corretta percentuale di classificazione è stata del 89,1%. Le analisi hanno permesso di classificare correttamente il gruppo di Montale con una percentuale del 75,5% sul gruppo delle coltivate e una piccola percentuale pari al 24,5% come selvatiche. Le analisi morfometriche applicate ai vinaccioli di Montale ha permesso di ottenere informazioni preziose sulla gestione delle risorse vegetali duranti l’Età del Bronzo recente in Emilia, ed in particolare sulla possibilità che le comunità vissute a Montale avessero già iniziato una gestione consapevole della vite. L’alta percentuale di vinaccioli identificati come coltivati infatti confermerebbe che in Italia già durante il Bronzo Recente le comunità umane iniziarono la coltivazione dell’uva. Questo dato è stato riscontrato anche in un recente lavoro sullo studio dei vinaccioli ritrovati all’interno di un pozzo datato tra la media Età del Bronzo e il Bronzo recente in Sardegna, in cui si evidenzia che la maggior parte di questi vinaccioli appartenevano a varietà coltivate. La comparsa a Montale di vite, in gran parte considerabile coltivata, può essere messa in relazione con altri contesti coevi dove si manifesta una analoga evidenza e forse può essere connessa all’aumento dei traffici con l’Egeo e con il Mediterraneo orientale, e più in generale all’impressionante mole di scambi che caratterizza l’Europa tra XIV e inizio XII secolo a.C. In questo periodo aumenta infatti significativamente in Italia l’importazione di ceramica egea, prevalentemente da mensa, e addirittura si afferma la produzione locale di ceramica italo-micenea (e ceramica grigia tornita in Italia meridionale), destinata soprattutto al “banchetto”, mentre la produzione di oggetti in bronzo, compresi vasi laminati, denota una koiné che include gran parte del continente europeo e arriva a toccare l’Egeo. È possibile che in questo nuovo contesto l’uso del “vino” abbia assunto una valenza culturale e sociale preminente, sostituendo più antiche bevande fermentate, come ad esempio quella ricavabile dal corniolo, attestato abbondantemente a Montale nelle fasi precedenti.
2015
50ma Riunione IIPP “Preistoria del cibo. L’alimentazione nella preistoria e nella protostoria”, Roma, 5-9 Ottobre 2015.
Roma
5-9 Ottobre 2015
Cardarelli, Andrea; Bosi, Giovanna; Rinaldi, Rossella; Ucchesu, M.; Bacchetta, G.
Vino o non vino? Nuovi dati sui vinaccioli della Terramara di Montale (Modena) tra la fine della media etaà del Bronzo e il Bronzo recente / Cardarelli, Andrea; Bosi, Giovanna; Rinaldi, Rossella; Ucchesu, M.; Bacchetta, G.. - ELETTRONICO. - (2015), pp. 1-9. (Intervento presentato al convegno 50ma Riunione IIPP “Preistoria del cibo. L’alimentazione nella preistoria e nella protostoria”, Roma, 5-9 Ottobre 2015. tenutosi a Roma nel 5-9 Ottobre 2015).
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

Licenza Creative Commons
I metadati presenti in IRIS UNIMORE sono rilasciati con licenza Creative Commons CC0 1.0 Universal, mentre i file delle pubblicazioni sono rilasciati con licenza Attribuzione 4.0 Internazionale (CC BY 4.0), salvo diversa indicazione.
In caso di violazione di copyright, contattare Supporto Iris

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11380/1083196
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact