La concezione sostanzialistica delle contravvenzioni edilizie ha dato vita a due ricostruzioni interpretative che presuppongono, quale oggetto giuridico di tutela, il bene giuridico finale: ricorrerebbe l'elemento oggettivo del reato per ogni intervento che non sia accompagnato da permesso legittimo, indipendentemente dal fatto che l'atto sia stato rilasciato. Una prima ricostruzione della teoria, individuata dalla sentenza a Sezioni unite del 1993 (Borgia) configura, per chi costruisce con permesso contrastante con la normativa urbanistica, il solo reato previsto dall'art. 44 lett. a) del D.P.R. n. 380/2001. In forza di successiva interpretazione giurisprudenziale, il “costruttore” che si avvale di permesso illegittimo (eventualmente in concorso con chi ha rilasciato il permesso) può rispondere, a seconda della gravità dello “scarto” esistente tra opera realizzata e legalità urbanistica, di tutte e tre le ipotesi previste dal richiamato art. 44. La contrapposizione tra “bene strumentale” e “bene finale” evolve ed evidenzia una criticabile sovrapposizione tra interpretazione delle condotte tipiche ed esigenze di politica criminale. Il fatto tipico, infatti, nella sua inequivoca formulazione, presuppone il permesso come titolo di legittimazione e pone come garante della sua legittimità, senza prevedere sanzioni penali al riguardo, il solo dirigente comunale (e non il privato che l'ha richiesto). Il bene giuridico non può essere sospinto ad oltrepassare la funzione interpretativa che gli è propria per trasformarsi nell'elemento del fatto "legittimità del rilascio". Non può il "permesso di costruire" la cui materiale assenza o il cui mancato rispetto integra le contravvenzioni in esame, diventare "permesso di costruire legittimo" in base alla valutazione ex post del giudice. In questo caso infatti il permesso di costruire, privo di legittimità equivarrebbe, senza base normativa, ad assenza del titolo abilitativo facendo venire meniìo il diritto di edificare. E’ opportuno evidenziare che l’evolversi dell’interpretazione sostanzialistica mette a dura prova i profili della divisione dei poteri (sottesi agli atti autorizzativi la cui mancanza integra reato), del bene giuridico (che la norma intende chiaramente come bene strumentale conseguente all'esercizio della funzione) e del principio di legalità (che non consente di allargare, senza base normativa, il fatto tipico dal contrasto tra l'edificare al titolo abilitativo, alla "conformità" col titolo abilitativo ma reputato in contrasto con gli strumenti urbanistici). Si tratta di indiscutibili “resistenze” che nascono dalla tecnica legislativa con cui sono formulate le contravvenzioni edilizie e che la giurisprudenza tende a sottovalutare. Il sistema urbanistico - edilizio (come avviene, in modo più o meno intenso, per altri beni o anche per semplici “settori” dell’ordinamento tutelati con funzioni amministrative), è infatti incentrato su di un complesso di poteri e di provvedimenti dell’autorità che delimitano l’intera materia, la cui astratta portata non può essere sottostare a valutazioni di politica criminale sulla concreta “efficacia”, anche se la "deterrenza" fosse talvolta così debole da dar luogo ad inerzia ovvero a lasciare privi di conseguenze provvedimenti illegittimi. L’interpretazione suggerita dalla giurisprudenza non è in grado di risolvere il problema di una tutela più diffusa degli interessi ambientali (se non aggiungendo, ad un allargamento improprio del bene giuridico, una forzatura della tipicità) e finisce col travolgere il significato concreto e “culturale” del permesso, prima ancora che sul piano della liceità della condotta, su quello della concreta disciplina amministrativa che il legislatore ha realizzato nell’ urbanistica e nell’edilizia.

Il controverso rapporto tra l'illegittimità del permesso di costruire e le contravvenzioni edilizie / Pighi, Giorgio. - ELETTRONICO. - (2004), pp. 1-24.

Il controverso rapporto tra l'illegittimità del permesso di costruire e le contravvenzioni edilizie

PIGHI, Giorgio
2004

Abstract

La concezione sostanzialistica delle contravvenzioni edilizie ha dato vita a due ricostruzioni interpretative che presuppongono, quale oggetto giuridico di tutela, il bene giuridico finale: ricorrerebbe l'elemento oggettivo del reato per ogni intervento che non sia accompagnato da permesso legittimo, indipendentemente dal fatto che l'atto sia stato rilasciato. Una prima ricostruzione della teoria, individuata dalla sentenza a Sezioni unite del 1993 (Borgia) configura, per chi costruisce con permesso contrastante con la normativa urbanistica, il solo reato previsto dall'art. 44 lett. a) del D.P.R. n. 380/2001. In forza di successiva interpretazione giurisprudenziale, il “costruttore” che si avvale di permesso illegittimo (eventualmente in concorso con chi ha rilasciato il permesso) può rispondere, a seconda della gravità dello “scarto” esistente tra opera realizzata e legalità urbanistica, di tutte e tre le ipotesi previste dal richiamato art. 44. La contrapposizione tra “bene strumentale” e “bene finale” evolve ed evidenzia una criticabile sovrapposizione tra interpretazione delle condotte tipiche ed esigenze di politica criminale. Il fatto tipico, infatti, nella sua inequivoca formulazione, presuppone il permesso come titolo di legittimazione e pone come garante della sua legittimità, senza prevedere sanzioni penali al riguardo, il solo dirigente comunale (e non il privato che l'ha richiesto). Il bene giuridico non può essere sospinto ad oltrepassare la funzione interpretativa che gli è propria per trasformarsi nell'elemento del fatto "legittimità del rilascio". Non può il "permesso di costruire" la cui materiale assenza o il cui mancato rispetto integra le contravvenzioni in esame, diventare "permesso di costruire legittimo" in base alla valutazione ex post del giudice. In questo caso infatti il permesso di costruire, privo di legittimità equivarrebbe, senza base normativa, ad assenza del titolo abilitativo facendo venire meniìo il diritto di edificare. E’ opportuno evidenziare che l’evolversi dell’interpretazione sostanzialistica mette a dura prova i profili della divisione dei poteri (sottesi agli atti autorizzativi la cui mancanza integra reato), del bene giuridico (che la norma intende chiaramente come bene strumentale conseguente all'esercizio della funzione) e del principio di legalità (che non consente di allargare, senza base normativa, il fatto tipico dal contrasto tra l'edificare al titolo abilitativo, alla "conformità" col titolo abilitativo ma reputato in contrasto con gli strumenti urbanistici). Si tratta di indiscutibili “resistenze” che nascono dalla tecnica legislativa con cui sono formulate le contravvenzioni edilizie e che la giurisprudenza tende a sottovalutare. Il sistema urbanistico - edilizio (come avviene, in modo più o meno intenso, per altri beni o anche per semplici “settori” dell’ordinamento tutelati con funzioni amministrative), è infatti incentrato su di un complesso di poteri e di provvedimenti dell’autorità che delimitano l’intera materia, la cui astratta portata non può essere sottostare a valutazioni di politica criminale sulla concreta “efficacia”, anche se la "deterrenza" fosse talvolta così debole da dar luogo ad inerzia ovvero a lasciare privi di conseguenze provvedimenti illegittimi. L’interpretazione suggerita dalla giurisprudenza non è in grado di risolvere il problema di una tutela più diffusa degli interessi ambientali (se non aggiungendo, ad un allargamento improprio del bene giuridico, una forzatura della tipicità) e finisce col travolgere il significato concreto e “culturale” del permesso, prima ancora che sul piano della liceità della condotta, su quello della concreta disciplina amministrativa che il legislatore ha realizzato nell’ urbanistica e nell’edilizia.
2004
Pighi, Giorgio
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